Trama
Inghilterra, 1346. Thomas Blackstone è un giovane e abile scalpellino. Grazie al suo mestiere ha imparato come individuare le debolezze nella pietra. Ma grazie alla sua passione, l’arco, ha capito che, per colpire e uccidere, ci vogliono intelligenza e acume. Per questo non ha esitazioni quando, per evitare una condanna a morte per un omicidio che non ha commesso, gli viene chiesto di entrare nell’esercito di
re Edoardo III, che si appresta a invadere la Francia.
Turbato dalla crudeltà della guerra e dalla brutalità umana, Thomas lotta non soltanto per sopravvivere, ma soprattutto per mantenere la sua dignità e il suo onore. E mentre all’orizzonte si profila la battaglia più dura di tutte – quella di Crécy – Thomas si ritrova al centro di un complesso intrigo in cui l’amore e l’amicizia, la fiducia e il tradimento cambiano forma e colore in ogni istante. E di certo cambieranno la sua vita, quando, nella furia della battaglia, sarà proprio lui a salvare il figlio del re da morte certa…
Recensione a cura di Chiara Guidarini
Quando ho letto di un Thomas, arciere inglese, ho pensato subito a un altro libro “l’arciere del re” di Bernard Cornwell. Grazie agli scritti di Cornwell, sapevo che gli arcieri inglesi rappresentavano una potenza militare, ed erano temuti dagli avversari, che usavano armi considerate retrograde e superate.
Siamo nel 1346, in Inghilterra, in una fredda e cupa giornata in cui la guerra dei cent’anni non è che una vaga consapevolezza che, di colpo, riempie la vita di Thomas.
Era la gelida e brumosa mattina del giorno di san Gugliemo del 1346 quando il Destino e i suoi compagni di viaggio, Sventura e Disperazione, bussarono alla porta di Thomas Blackstone.
Destino, Sventura, Disperazione.
Così si apre la storia. Prima di tutto, per un crudele gioco del Destino,
Thomas è costretto a prendere in mano la sua vita, a lasciare il suo villaggio, il suo piccolo mondo, magari non confortevole e agiato, ma suo. Il futuro paventato nella mente viene spazzato via di colpo, l’uccisione della fanciulla amata macchia l’onore del fratello e, grazie a una nuova compagna di viaggio, Sventura, la via tracciata è quella che conduce verso la forca. A salvarli entrambi sarà un nobile squattrinato che li porta con sé in guerra, tra le fila del re Edoardo III, ma cosa può fare uno scalpellino a servizio del re d’Inghilterra?
Disperazione. Tutto è sangue sul campo di battaglia. C’è agonia, c’è dolore. C’è morte. E Thomas ha sedici anni, e tutto quello che sa fare è tirare con l’arco. Non sa ancora di essere il migliore arciere d’Inghilterra, forse migliore persino del fratello Richard.
Richard è un personaggio affascinante. Dal corpo malformato, viso deforme, muto dalla nascita, vive nel suo mondo interiore, incapace a volte di dominare i propri istinti e la propria brutale forza.
La storia di Thomas e di Richard a servizio del re d’Inghilterra è narrata nella prima parte del romanzo: “il battesimo di sangue”.
Siamo tra i soldati, quindi. Siamo in guerra. In una guerra che, come insegna la storia, durerà più di cent’anni. Questa prima fase, denominata guerra edoardiana dal nome dei due Edoardo (Il III e il figlio, detto “principe nero”) durò dal 1337 al 1360.
Gli uomini combattevano, erano a loro modo iniziati alle armi fin da bambini. Per loro era normale rischiare la vita. Come, in alcuni passaggi di Cornwell, ho riconosciuto proprio il frenetico desiderio dei soldati, e dei mercenari, di provocare la battaglia, di arruolarsi, di sfoderare le spade e lordarle col sangue nemico.
Ma cos’ha a che fare una spada con un arco?
Thomas non sa usare la spada, Thomas sa tendere l’arco. Il suo cuore batte all’unisono col filo della corda, con lo scoccare della freccia. I suoi occhi sono la punta che mira al cuore dell’avversario e la sua mano, ferma e salda sul legno incurvato, è il freddo congegno di morte che trancerà per sempre una vita.
Blackstone si rimise in piedi, scavalcò i corpi martoriati, sollevò l’arco e tese la corda. Tutto quello di cui aveva bisogno era una visuale libera per un secondo, quel breve attimo in cui gli assalitori cadevano ai piedi del cavaliere o lo superavano sciamando per affrontare gli altri. La punta triangolare della freccia lo avrebbe colpito attraverso l’armatura a piastre. Non importava quanto coraggioso fosse il suo cuore, non sarebbe sopravvissuto a un colpo da quella distanza.
Questa prima parte si chiude in modo magistrale con la sconfitta dell’esercito francese a Crécy, il 26 agosto del 1346, con decine e decine di perdite, con Thomas stesso riverso sul campo di battaglia dopo aver visto tanto, troppo sangue, troppa disperazione, troppe imponenti perdite.
Dopo aver conosciuto una verità terribile che gli ha spaccato il cuore.
Ora che l’orifiamma era a brandelli, e lui stesso avvolto dal proprio sangue, fissando quel cielo infinito, può forse abbandonarsi alla morte.
“I francesi si erano battuti per loro stessi, gli inglesi per il loro re.” Ci spiega l’autore. E questo chiarisce subito la questione. Gli Inglesi credevano nel loro re, nella loro terra, nel fatto che una volta rafforzato il trono, ci fosse benessere per tutti. Al contrario dei francesi che miravano al beneficio personale. Le fila dell’esercito inglese subiscono un duro colpo in questa battaglia, ma gli arcieri si divertono a ridurre a brandelli il vessillo di Francia mentre il re inglese cavalca tra le fila dei superstiti, guardando desolato quei campi di morte. Sarà il giovane Edoardo, anche lui sedicenne, veterano e ormai principe del Galles, che renderà onore all’arciere, che fortunatamente si risveglia dal torpore della morte
sollevandosi usando una spada come bastone, e gli concede l’investitura da cavaliere. È un momento in cui il climax è assoluto: Thomas, giovane scalpellino, arciere rovinato, sanguinante, praticamente morto, è un eroe che contrasta nettamente con lo sfarzo del coetaneo principe, che però non trascura il gesto potente e valoroso del suo suddito, che ha combattuto con lealtà e coraggio. Così, Thomas inizia la sua nuova vita. L’arciere è morto per sempre, il suo braccio non riuscirà più a tendere l’arco, ma in compenso, il bastone che ora usa per sostenersi, altro non è che una potentissima spada.
La spada con il lupo passante scintillava di sangue, l’acciaio temprato brunito si tinse d’arancio dorato ai raggi del sole al tramonto. Nel corso dei secoli, quel marchio era diventato il sigillo delle migliori armi forgiate nella città bavarese di Passavia.
Nella seconda parte del romanzo “la spada del lupo”, Thomas è “ospite” di Giovanni d’Harcourt, famiglia francese sotto l’egida del re inglese. È il libro in cui viene svelato il Thomas uomo, il Thomas che in precedenza ha salvato la vita alla giovane Christiana, dama al servizio di Bianca, moglie di d’Harcourt.
Il rapporto tra Christiana e Thomas è dolce e tormentato: i due sono innamorati fin dall’inizio, e loro lo sanno, sanno che il destino li ha fatti incontrare e che le segrete trame sono già state tessute. Ma. Ma Christiana è risoluta, impavida e coraggiosa e, nel vedere Thomas devastato dalle ferite e in fin di vita, decide di occuparsi di lui, ricucendo lei stessa le profonde lesioni sul suo volto.
Poi Christiana riunì con attenzione i lembi di pelle dello sfregio sul volto. Sentì la bile salirle in gola. Sputò sulla stuoia di canne sul pavimento. Lentamente, con la mano ferma e la massima attenzione infilò l’ago nella sua pelle.
Intrighi, garbugli politici, congiure e strane alleanze: Thomas si troverà sbalzato in situazioni sempre più difficili, e come una pedina sulla scacchiera, in balia di menti più audaci della sua. Tuttavia, da giovane scalpellino, arciere, ora cavaliere, Thomas impara quello che d’Harcourt ha da insegnargli. Ben lontano dall’amor cortese e dalla cavalleria decantata da bardi e poeti, il presente di Thomas è rozzo e spudorato ed è questo che piace ad alcuni baroni. Non a tutti, ovviamente, ma col favore del principe inglese e nell’intrigo di trame sempre più difficili, si approda alla terza parte “il cavaliere che prestò giuramento”.
Tornano i campi di battaglia,
ma Thomas non è più un ragazzino, Thomas è un uomo, nonostante sia passato meno di un anno dalla sua iniziazione.
Thomas è cambiato. Il suo cuore batte d’amore per la donna che ha sposato, per il figlio che sta per nascere, e come cavaliere, squattrinato pure lui, ha il dovere di conquistare per il suo re, e proteggere la sua famiglia. Cambiano i modi di fare, cambia il protagonista, cambia il suo ruolo all’interno della società, fino all’epilogo finale che è un epilogo quasi cinematografico, dove ancora una volta i toni sono solenni e il phatos è altissimo.
È un romanzo storico che non lascia nulla all’immaginazione. Le battaglie sono narrate con dovizia di particolari, crude e spietate, ma mai pesanti. Si avverte il filo della lama sulla pelle, il dolore della ferita, la brutalità dello scontro e, infine, la tristezza per le perdite. È un romanzo storico dove il XIV secolo entra nella pelle, nelle ossa, nella mente, e inchioda alla lettura in una maniera che non saprei spiegare. Il quadro è semplice: battaglie, amore, castelli, battaglie.
Ma c’è sempre quel filo conduttore che tiene viva la lettura, quell’arte che fa di un’opera una bella opera.
Il libro è il primo di una saga, mi pare di aver capito, composta da 5 volumi. In prossima pubblicazione ci sarà il secondo volume “L’onore e la vendetta” e credo che su TSD ne sentirete di certo parlare.
Copertina rigida: 546 pagine
Editore: TRE60 (23 maggio 2019)
Collana: Narrativa TRE60
Lingua: Italiano
ISBN-10: 886702518X
ISBN-13: 978-8867025183
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