Trama
Meridione d’Italia, 1865.
Mentre infuria la pulizia etnica della classe contadina, Martino Dulcamare, ex soldato del comando borbonico, riunisce a sé uomini, poi definiti briganti, per combattere il potere e aiutare la propria gente. Accanto a lui Margherita, abbandonata dalla legge e da Dio. Appassionata, ostinata e feroce, lotterà fino alla fine per quello in cui crede. Né l’amore, né la prigione e nemmeno quel governo appena nato riuscirono a domarla.
Un romanzo intenso, struggente e a tratti corale per una pagina dimenticata della nostra Storia.
Recensione a cura di Chiara Guidarini
Siamo agli albori del Regno d’Italia: un regno quasi unificato dopo varie lotte intestine, un regno instabile appena uscito dalla seconda guerra d’indipendenza e in procinto di avviarsi verso la terza.
Un regno dove il sud è scosso da terribili eventi, ed è debole, irrequieto, incapace di comprendere la portata di quanto accaduto.
Un sud, fatto di “contadini ignoranti” come dice la protagonista, Marga, parlando di sé stessa, ma al contempo forti e fieri. Ignorano di politica, questo è vero, ma d’altro canto, come comprendere l’incomprensibile?
Oggi, nei libri di scuola viene raccontato che l’Italia, a un certo punto, viene unificata. Garibaldi ha preso i suoi uomini, facendo una grande spedizione, e sono andati a unire l’Italia. Quale sia stato il prezzo di sangue da pagare, possiamo solo immaginarlo. Ed ecco che ci viene in aiuto
Francesco Gioia, che con questo affresco dipinge un quadro dell’epoca, spiegando la storia, raccontando di fatti e personaggi, portando il lettore dentro a una realtà sconosciuta, quasi barbara, atroce e affascinante al contempo.
Improvvisamente tutto assume sfumature nuove.
Non è più il classico “armiamoci e partiamo” e “abbiamo unificato l’Italia” ma guerra, eventi, lotte, passioni, grandi amori.
Come spesso succede parlando di fatti di guerra, che sono “accaduti e basta”, se si ci ferma un momento a riflettere, si scopre anche che la questione non è così semplice. È questo il caso di Margherita, bellissima contadina meridionale, attaccata alla sua casa, alla sua vita, alla sua quotidianità, che viene improvvisamente catapultata in un mondo parallelo al suo: quello del brigantaggio.
E se l’immaginario collettivo evocherebbe scorribande armate da pagare con un tributo di sangue, il libro di Gioia apre realmente “uno spiraglio nelle tenebre” perché i briganti ci sono, è vero, ma il lettore scopre anche i motivi del loro latitare intravedendo quell’apertura nel buio che da piccola diventerà sempre più grande e luminosa. Ma a quale prezzo.
Per la stragrande maggioranza, i briganti erano ex contadini lucani senza fissa dimora e senz’altra prospettiva di vita. Avevano deciso di darsi alla macchia diventando dei fuorilegge, persuasi che questa scelta, che nel migliore dei casi avrebbe fatto rischiare loro il carcere a vita, fosse meglio che continuare un’esistenza di stenti.
I motivi che spingono Margherita a unirsi ai briganti sono motivi alti, onorevoli, perfettamente inquadrati nella mentalità del tempo. La ragazza cova un odio profondo che la rende umana, e credibile, che la fa cambiare nel corso degli anni fino a renderla donna forte e passionale e arrivare a testa alta alla seconda parte del libro, che la vede protagonista indiscussa in un avverso tribunale maschile.
A mio parere il libro si può dividere in due parti: quella storica e quella narrativa. Nella parte storica viene resa la politica, la parte militare, e il lettore si trova a scoprire dinamiche e fatti talvolta sconosciuti. Nella parte narrativa conosciamo i personaggi che si muovono all’interno della grande storia, ci specchiamo nelle loro vite e ci appassioniamo alle loro vicende.
È
un romanzo complesso ma scritto in maniera semplice e accattivante: persino la parte politica, che di primo acchito può sembrare difficoltosa, scivola via con leggerezza rendendosi lineare e di semplice impatto.
la casa era un unico androne, con i giacigli per la note messi da un lato e una tavola con alcune sedie di legno sgangherato dall’altro. Completavano il povero arredo due cassapanche e un mobiletot di legno addossato a una parte, dove si raccoglievano vari tipi di utensili. Il pavimento e i muri erano in pietra grezza, come il cucinotto, costruito da una caldaia con uno sportellino di ferro battuto dove era inserita la legna. Una pentola di coccio bolliva sul piano di ghisa spargendo un vapore fastidioso tutt’attorno
Questa la fotografia di una casa di fine Ottocento, una casa povera dove l’essenziale è ridotto all’osso. Una descrizione precisa e singolare capace di tracciare il quadro di tutta un’epoca: ecco allora che non diventerà difficile immaginare la vita in quella piccola stanza, immaginare i contadini di ritorno dai campi sul fare della sera, immaginare i loro volti, carpirne la stanchezza dagli intrinseci sguardi.
Si tratta a parer mio di
un’opera completa e ben strutturata, che si legge volentieri e che sprona alla lettura, suscitando la giusta curiosità al lettore che, avvinto dall’incedere dei fatti, altra scelta non ha se non quella di continuare a gustare il romanzo.
Copertina flessibile: 254 pagine
Editore: Edizioni Il Vento Antico (18 marzo 2019)
Collana: I romanzi
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8894806677
ISBN-13: 978-8894806670
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