Articolo a cura di Claudia Renzi
Il saggio del 1910 con cui Sigmund Freud[1] pretendeva di aver svelato un inconfessabile segreto di Leonardo è spesso citato come presunta prova dell’altrettanto presunta omosessualità del genio di Vinci. In realtà Freud, la cui principale fonte fu il romanzo Vita di Leonardo da Vinci scritto da Dmitri Merežkovskij agli inizi del ‘900[2], non conosceva affatto bene la vita e le opere del maestro, e lo confessa lui stesso verso la fine del saggio in una frase che, troppo spesso, passa inosservata:
Dell’insuccesso [del saggio] si deve considerare responsabile solo l’autore, che ha costretto la psicoanalisi a pronunziare un giudizio su materiale così insufficiente[3].
Del resto, nel successivo breve saggio su Michelangelo la frase di apertura è:
Devo dire che non sono un intenditore d’arte, ma solo un profano[4].
Freud cercò d’interpretare il sogno in cui Leonardo racconta del nibbio[5] servendosi della traduzione di esso apparsa in Leonardo da Vinci, der Denker, Forsche und Poet, di Marie Herzfeld, dove compare il termine geier (avvoltoio) invece che milan (nibbio). L’esito fu alquanto comico: per almeno due pagine il lettore è istruito sulla simbologia, per lo più in chiave egizia, dell’avvoltoio, simbolo di maternità[6]. Trovando degno di nota che Leonardo ricordasse un sogno di quando era “in culla”, Freud tentò di far risalire ad esso le prime manifestazioni di un’omosessualità di carattere passivo. Come si sa un bambino, salvo eccezionali traumi, difficilmente ricorda qualcosa prima dei tre anni, ma secondo Freud Leonardo sarebbe in malafede: quello raccontato non sarebbe un sogno o ricordo infantile, bensì una fantasia omoerotica camuffata. Viene da chiedersi perché mai Leonardo avrebbe dovuto vergognarsi di scrivere una sua fantasia in quaderni che nessuno poteva leggere e scritti per di più al contrario. A riprova della sue presunte inclinazioni Freud insiste sul fatto che Leonardo prendesse come allievi soltanto dei ragazzi[7], forse ignorando che all’epoca nessuna bambina sarebbe stata mandata a bottega (cioè a vivere) con un maestro uomo e con colleghi maschi!
Circa le freddure, o barzellette, scritte da Leonardo, Freud dice che esse erano di una tale castità da evitare qualsivoglia riferimento al sesso[8], ma leggendo:
Uno, vedendo una femmina parata a tener tavola in giostra, guardò il tavolaccio e gridò vedendo la sua lancia: Ohimè, questo è troppo piccol lavorante in sì grande bottega![9] oppure la famosa: Una lava i panni e pel freddo aveva i piedi molto rossi, e, passandole appresso, uno prete domandò con ammirazione donde tale rossezza derivassi; al quale la femmina subito rispuose che tale effetto accadeva perché ella aveva sotto il foco. Allora il prete mise mano a quello membro che lo fece essere più prete che monaca, e, a quella accostatosi, con dolce e sommessiva voce pregò quella che ‘n cortesia li dovessi un poco accendere quella candela[10],
mi pare che non siano affatto caste e che alludano esplicitamente al sesso (evidentemente etero).
Freud non conosceva disegni osceni di Leonardo[11], e questo lo convinse di una sua possibile repulsione verso l’unione fisica, soprattutto con donne poiché, secondo Freud, nessuna poteva sostituire sua madre. Come è noto, Leonardo non ebbe un rapporto stretto con la madre Caterina, come invece vuol far intender Freud[12] per poter affermare che l’esclusività del loro rapporto e l’assenza (?) del padre[13] portò il giovane a “innamorarsi” di sua madre al punto da non volere altre donne nella sua vita! Inoltre Freud accusa Leonardo di non voler approfondire la psiche umana[14], in virtù di questa sua presunta freddezza. In realtà, quello che più interessava al maestro, e che è alla base dello straordinario fascino delle sue opere, era proprio l’indagare i moti dell’anima. Non a caso fu il primo caricaturista, e saper fare una caricatura indica un’eccezionale spirito di osservazione e penetrazione psicologica da parte del disegnatore, oltre che un’assoluta padronanza del “bello”, poiché solo quando si sa fare bene il “bello” si può fare bene (artisticamente cioè) il “brutto”.
Che Freud scrivesse baggianate di ordine storico-artistico lo si può vedere anche nel caso di Michelangelo; nel suddetto saggio del 1914 in cui affronta il significato del Mosè, Freud riesce a infilare una serie di abbagli clamorosi: scambia i raggi che il Mosè ha in testa per delle corna, ignora cosa sia il contrapposto michelangiolesco, non capisce che la barba è fatta in quel modo per il semplice fatto che, in corso d’opera, l’artista si è dovuto adattare a una depressione del marmo, non si accorge che le gambe del colosso sono di grandezza diversa (quella piegata è la metà di quella dritta), ecc. Tutto ciò induce a pensare che Freud volesse solo fare scalpore col suo elzeviro su Leonardo, che si conclude con la falsa modestia dell’incompetente involontario. Data (a tutt’oggi) la scarsità di notizie sulla vita privata di Leonardo, sapere quali fossero davvero il suo modo di amare e i suoi gusti, è cosa quasi impossibile. Di conseguenza pretendere di dimostrare che fosse gay è pura fantascienza.
Ma, a parte Freud, su cosa si basa la teoria che vuole Leonardo omosessuale? Vediamo. Si sa che nel 1476, quando era ancora presso Verrocchio[15], il nome di Leonardo comparve in una lista di sodomiti fatta giungere, sotto forma di lettera anonima immessa nel “tamburo”, alla Signoria di Firenze. L’accusa ovviamente non basta a fare la prova, non tanto perché il processo si risolse con un nulla di fatto (esso venne insabbiato per la presenza, fra gli accusati, di Leonardo Tornabuoni, cugino di Lorenzo il Magnifico), quanto perché una denuncia di quel tipo – anonima ma valida – era un ottimo mezzo per sbarazzarsi di qualcuno che per un qualsivoglia motivo (e un talento eccezionale ne era uno ottimo) suscitava invidia o rancore.
Continua…
[1] S. Freud, Leonardo, Torino, 2003 (1910).
[2] D. Merežkovskij, La resurrezione degli dèi: Leonardo da Vinci, 1902. Il Merežkovskij è il primo a intuire che, forse, la Caterina che va a vivere con Leonardo a Milano, e di cui lui poi pagherà i funerali, sia sua madre, termine tuttavia che il maestro per questa donna non usa mai.
[3] S. Freud, op. cit., p. 89.
[4] S. Freud, Il Mosè di Michelangelo (1914), in: Freud – Psicoanalisi dell’arte e della letteratura, Roma, 1997, p. 111.
[5] Codice Atlantico, c. 66v: “Questo scriver sì distintamente del nibbio par che sia il mio destino, perché ne la prima ricordazione della mia infanzia [cioè nel primo ricordo che ne ho] e’ mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda e molte volte mi percotesse con tal coda dentro alle labbra.”
[6] S. Freud, op. cit., p. 41-42. Più tardi Oskar Pfister, suggestionato dalla lettura viziata di Freud e dalla traduzione errata, credette di individuare nel S. Anna, Madonna e Bambino al Louvre, un avvoltoio nel panneggio di Maria, la cui coda aderiva alla bocca di Gesù.
[7] S. Freud, op. cit., p. 55.
[8] S. Freud, op. cit., p. 24.
[9] Ms. F, interno copertina.
[10] Codice Atlantico, c. 119r.
[11] Il cd. Angelo incarnato fu scoperto nel 1991.
[12] S. Freud, op. cit., pp. 66-70: nel quadro S. Anna, Madonna e Bambino al Louvre Leonardo, secondo Freud, avrebbe dipinto ben due madri e ovviamente nessun padre.
[13] Come è noto, invece, fu il padre Piero a crescere Leonardo, nonostante fosse figlio illegittimo.
[14] S. Freud, op. cit., p. 30.
[15] Leonardo entrò nella bottega di Verrocchio a 17 anni compiuti.
Bibliografia
Bossi Giuseppe, Scritti sulle arti [1810], a cura di Ciardi Roberto Paolo, Firenze, 1982.
Brizio Anna Maria, Rassegna degli studi vinciani, s. l., 1968.
Freud Sigmund, Il Mosè di Michelangelo [1914], in: Psicoanalisi dell’arte e della letteratura, Roma, 1997.
Freud Sigmund, Leonardo [1910], Torino, 2003.
Merežkovskij Dmitri, La resurrezione degli dèi: Leonardo da Vinci, 1902.
Pedretti Carlo, Io e Leonardo, Milano, 2008