Trama
Il 19 settembre 1940 durante un rastrellamento nazista a Varsavia, Witold Pilecki prende la direzione opposta a tutti gli altri e si fa arrestare volontariamente per essere mandato ad Auschwitz. Il nome non è ancora sinonimo di inferno, come sarebbe diventato, tuttavia chiunque avrebbe considerato quel gesto folle. Ma Pilecki non è uno qualunque, è un militare dell’Armata polacca e membro della resistenza contro i nazisti. La sua missione è infiltrarsi nel campo, raccogliere informazioni e organizzare una rete clandestina pronta a ribellarsi e a prendere il controllo al momento giusto. Sin dall’arrivo, Pilecki si rende conto che qualsiasi idea i cittadini liberi si fossero fatti di quel luogo, era drammaticamente ingenua. Ciò che trova oltre il cancello con la scritta “Arbeit macht frei” non ha nulla a che vedere con qualunque cosa avesse conosciuto nel mondo reale. Ogni regola del vivere civile è calpestata e sovvertita, ci sono prigionieri con diritto di vita e di morte su altri prigionieri. Fame, freddo, malattie, lavori forzati sono usati dai nazisti come strumenti di decimazione. L’arbitrarietà assoluta è l’unica legge applicata e ciò che distingue i carcerieri l’uno dall’altro sono solo diversi gradi di crudeltà. A poco a poco Pilecki tesse la sua rete clandestina, in attesa del segnale di rivolta, che però non arriva mai. Dopo tre anni, e dopo aver visto sparire molti dei suoi amici, Pilecki decide di fuggire, per continuare la resistenza da fuori.
Recensione a cura di Roberto Orsi
Il gioco che stavo giocando ora ad Auschwitz era pericoloso. Questa frase non rende a pieno la realtà: di fatto, io ero andato ben oltre ciò che la gente nel mondo reale considererebbe pericoloso…
Capitano Witold Pilecki
È la citazione di apertura del libro.
Un libro tratto da una storia vera. Anzi di più, una storia vera trasformata in un libro.
Mi è capitato altre volte di leggere libri sull’
olocausto e la prigionia nei lager nazisti. Come non nominare Primo Levi con
“Se questo è un uomo”, probabilmente uno dei più toccanti libri che raccontano questa tragedia dell’umanità. Eppure, per me, questo libro ha avuto un sapore diverso.
Vuoi per averlo letto in età matura (da tempo non mi soffermavo su un libro di questo genere), vuoi per lo stile di scrittura che in certi momenti può sembrare “dozzinale”, passatemi il termine. Ma non è così in realtà, semplicemente perché
si tratta della trasposizione delle memorie del prigioniero Witold Pilecki. Per questo motivo, alcuni passaggi sembrano scritti di getto, in brutta copia quasi, non rifiniti, non “editati” diremmo oggi, ma il bello sta proprio in questo.
Si tratta del dattiloscritto originale del Rapporto scritto dal capitano Witold Pilecki nel 1945, conservato presso il
Centro Studi sul Movimento Clandestino Polacco a Londra. Pilecki nel 1940 decise volontariamente di consegnarsi ai tedeschi durante un rastrellamento a Varsavia, e farsi condurre nel
campo di lavoro di Auschwitz. Sì, perché come ci spiega lo stesso Pilecki, Auschwitz inizialmente non era un lager nell’accezione più comune, ma un campo di lavoro. Non a caso i prigionieri venivano accolti con la scritta sopra il cancello di ingresso “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi). E le stesse voci che giungevano alla popolazione in Polonia, non avevano mai riportato le vere condizioni di prigionia che si subivano all’interno del campo.
Pilecki ha una missione molto importante: organizzare una rete interna tra i prigionieri del campo, per resistere e ribellarsi agli oppressori tedeschi.
Auschwitz nacque come campo di prigionia per i cristiani polacchi, solo successivamente si trasformò nel campo di sterminio per gli ebrei che conosciamo.
Fu allora che sentii correre un solo pensiero tra quei polacchi in piedi fianco a fianco, sentii che finalmente eravamo tutti uniti dalla stessa rabbia, un desiderio di vendetta, sentii che ero in un ambiente ideale per iniziare il mio lavoro lì e scoprii dentro di me una parvenza di felicità…»
Questo è uno dei primi momenti in cui Pilecki capisce che la sua missione può andare a buon fine. Ed
è incredibile leggere la parola “felicità” accostata alla condizione di prigioniero.
Le condizioni di vita raccontate da Pilecki nelle sue memorie sono quelle che conosciamo: tragiche, difficili, proibitive. La gerarchia all’interno del campo è fondamentale. Alcuni prigionieri, soprattutto tra i più “anziani”, sono riusciti a ritagliarsi posizioni di prestigio e “collaborano” con i tedeschi nel mantenere l’ordine e la disciplina, nell’infliggere punizioni, anche mortali nei confronti di coloro che poco tempo prima erano compatrioti.
Quando c’è in gioco la sopravvivenza però, le barriere del cervello si annullano, lo scrupolo, il dovere morale e civico nei confronti dell’essere umano che hai di fronte, svanisce come neve al sole. “Mors tua, vita mea”, si dice. Nel 1940, l’assunto è ancora una volta valido, forse anche più del 1200.
Pilecki racconta dei
passaggi davvero toccanti, ma come ho già avuto modo di anticipare non lo fa con la prosa di uno scrittore esperto, bensì buttando su carta i ricordi in un diario dell’orrore che si scrive da solo.
Mi hanno detto: “Più ti attieni ai fatti nudi e crudi senza alcun tipo di commento, più tutto avrà valore”. Bene, lo farò… ma non eravamo fatti di legno, men che meno di pietra, anche se a volte sembrava che anche una pietra avrebbe sudato freddo.
Le parole del capitano polacco sono chiare, gli hanno chiesto un resoconto nudo e crudo di quanto ha visto e vissuto sulla propria pelle. In fondo, la fantasia probabilmente non avrebbe raggiunto gli apici della realtà nel caso della
follia nazista.
Eppure tra tante atrocità, conforta leggere di atteggiamenti di compassione, di altruismo, di esseri umani che hanno lanciato il cuore oltre l’ostacolo, impegnandosi in un sogno di libertà che non poteva essere abbandonato senza combattere, molto spesso trascinando i più deboli verso la salvezza.
In alcuni passaggi il libro può risultate onestamente ripetitivo. Molto spesso leggiamo liste di nomi di persone che incrociano il cammino di Pilecki durante la prigionia. Alcune scene si ripetono regolarmente pagina dopo pagina. Mi ha colpito il fatto che lo stesso capitano polacco ad un certo punto scrive di essere consapevole di questa cosa.
Hanno detto che a volte mi ripeto. È possibile – in parte perché non ho il tempo di rileggere tutto ancora una volta, ma anche perché quella grande “fabbrica” che inceneriva le persone, o se preferite quel “rullo compressore” che schiacciava interi convogli di esseri umani, ruotava sempre intorno a un unico asse, il cui nome era: distruzione.
Frammenti di singole scene del campo ripetute quotidianamente – più di trecento volte in un anno – cambiando il giorno ma non il modo, mostravano, sporadicamente o regolarmente, lo stesso lato del rullo compressore in ogni particolare… e se si assisteva a questo spettacolo per quasi mille giorni… E con questo? Che male c’è se chi vive comodamente nel mondo esterno fa un piccolissimo sforzo per leggere queste pagine e si concentra più di una volta su una singola immagine, specie se vista dall’altra parte?
Un libro come questo dovrebbe essere letto alla stregua degli altri che derivano dalle testimonianze di detenuti. Eppure è un libro poco conosciuto, così come la sua storia. Come è possibile?
Pilecki è un fulgido esempio di eroismo che trascende religione, razza e tempo. Eppure la sua storia, una delle più drammatiche missioni di un alleato nella Seconda guerra mondiale, è praticamente sconosciuta in Occidente. Perché Pilecki non è più conosciuto? La risposta è semplice: la sua storia fu soppressa di proposito dal regime comunista polacco del dopoguerra, perché l’eroismo di Pilecki non si esaurì nei quasi tre anni della sua missione ad Auschwitz.
Tornato in patria Pilecki si impegnò nei servizi segreti del governo polacco in esilio, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, quando il regime comunista stava prendendo piede nell’est europeo.
Il suo rapporto è riapparso solo anni dopo, drammatica testimonianza di una pagina di storia che non può essere dimenticata, né negata.
Copertina flessibile: 382 pagine
Editore: Piemme (17 gennaio 2017)
Collana: Piemme
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8856658232
ISBN-13: 978-8856658231
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