Trama
È il luglio 1943 e la guerra non è ancora finita, nonostante in molti incautamente lo credano. In un precario equilibrio sulla linea sottile che separa la parte giusta e quella sbagliata, la razionalità e la follia, l’amore e l’orrore, un ragazzo sceglie di combattere per un fascismo già in frantumi e un altro prova a salvarsi giocando al calcio in un campionato mai entrato negli annali. Un ufficiale del Regio esercito è disposto a tutto per tornare a casa e un agente segreto britannico ordisce il peggiore degli inganni per compiere la sua missione. Intanto su un mondo in decomposizione infuria il vento impetuoso della Storia che tutto travolge e tutto cambia, specie i piani degli esseri umani.
Recensione a cura di Chiara Guidarini
Certo non è facile condensare un libro di quasi settecento pagine nelle poche righe di una recensione, perché su un libro di questa mole, di queste proporzioni e che tocca questo tema, ce ne sarebbero davvero tante da dire. Proviamo a iniziare dal contesto storico: la seconda guerra mondiale. La guerra che ha toccato i nostri nonni e della quale sentiamo ancora l’intrinseco riflesso nei luoghi in cui viviamo, nelle storie di tutti i giorni, nei giornali e nei libri di storia. Quindi un passato non lontanissimo, che echeggia con forza nelle memorie di chi è sopravvissuto e ancora vive per raccontare.
Non si discosta dalla realtà il libro di Vincenzo Salfi che racconta, con preziosa dovizia di particolari, i tumultuosi giorni che precedono l’8 settembre 1943, fino ad addentrarsi in una guerra che si realizza senza esclusione di colpi.
Colpi d’arma da fuoco, ma anche colpi di scena, colpi di vita, d’amore, di morte.
Il lettore è avvinto dalle vicende dei protagonisti, ne è subito attratto e non riesce ad abbandonarle: le segue una ad una, con gli occhi di chi sa che la fine è già certa e già terribilmente scontata.
Dal giovane appassionato che sceglie di arruolarsi per respingere il nemico e arrivare a vivere una serie di sentimenti terribili e contrapposti, al tenente a Corfù, alla bella parrucchiera, fino al graduato inglese, vengono esaltati i lati umani ma anche fanciulleschi o militari; esperienze di vite diverse unite solo dalla forte contrapposizione tra l’eterna lotta tra cuore e ragione, bene e male o guerra e pace in un’Italia che cade e si rialza ferita e confusa.
Ecco dunque i venti contrari: venti che spingono in ogni direzione, come foglie morte che si staccano dagli alberi e ne sono in balia, anche i protagonisti vengono spinti dalla forza prepotente delle correnti avverse.
Le loro vite sono un’alternarsi di sentimenti confusi, notizie vere e notizie false, partite di pallone, immagine di un popolo che non si arrende alla guerra ma che prosegue, come può, nel vivere le piccole cose di tutti i giorni… per quanto possibile, fino al possibile.
Storie reali si mischiano a quelle immaginarie, personaggi che, come spiega l’autore nei ringraziamenti “vivono una vita loro” e che gli si sono svelati pagina dopo pagina, prendendo una precisa caratterizzazione e condensandosi tutte insieme dentro a una grande storia comune: quella della guerra.
Dopo il 25 luglio, la diffusa sensazione che la guerra fosse finita aveva presto lasciato posto alla consapevolezza che il peggio dovesse ancora venire.
Guerra. Nell’immaginario collettivo questa parola evoca morte, distruzione. E se poi aggiungiamo “seconda” e “mondiale” lasciando la parola iniziale al centro, tutto si complica, tutto si tinge di colori ancor più spenti, rievocando un clima dove la morte e la distruzione erano accompagnate dal furore e dalla cattiveria, che hanno reso l’uomo abominevole. Con maestria l’autore ha saputo dosare le tinte, ha saputo penetrare nell’animo del lettore colpendolo nel profondo, colpendolo con l’amore che diventa odio e l’odio che diventa distruzione. Colpendolo con descrizioni accurate di eventi reali, truci, affinché quello che è accaduto non sia un ricordo, ma sia l’eco di una realtà che è ancora possibile.
L’inferno non è nella morte in sé, ma nella sua normalità.
Quando vedi qualcuno morire accanto a te e tutto quello a cui riesci a pensare in quel momento è sopravvivere. E quando ce la fai sei contento, mentre quel corpo morto al tuo fianco è una cosa a cui togliere gli anfibi e da coprire di terra solo se c’è tempo. Della moglie, dei suoi figli, dei suoi genitori, della sua storia non sai nulla e non ti chiedi nulla. Devi sopravvivere per prolungare la tua dannazione che ti porta a desiderare la morte in ogni momento.
Vediamo anche un progressivo mutamento nel carattere dei personaggi. Man mano che la guerra procede, assumendo sempre caratterizzazioni diverse, a tratti irruente, a tratti quasi riflessive, fino a scatenarsi in tutta la sua orribile furia omicida, anche i personaggi mutano, a volte in maniera incredula, istintiva, radicale. I toni della narrazione non sono mai pesanti e presuppongono uno studio notevole delle situazioni: i personaggi non pensano di fare, i personaggi fanno, agiscono, subito nell’immediato, perché il più delle volte non c’è nemmeno il tempo di pensare e si deve passare direttamente all’azione. Non a caso la narrazione, in alcuni casi, è al presente: per rendere l’immediato, per rendere l’azione, l’impossibilità di ragionare.
Non c’è alcun dubbio sul fatto che l’autore conosca bene la storia, ma conoscere la storia non basta per saper scrivere di storia: in un complesso mosaico come quello dell’ultimo conflitto mondiale, l’autore non si limita a un racconto di fatti avvenuti ma accompagna il lettore in un dedalo di stati d’animo capaci di attraversare un periodo storico buio calandosi perfettamente nei fatti, nelle vicende e nei ruoli.
Venti contrari anche nel cuore del lettore, e lo sospingono a volte in una direzione, a volte in un’altra, costringendolo ad amare, odiare, e a volte, capire, quei personaggi e quelle storie.
Un plauso particolare all’uso del linguaggio: scorrevole e mai pesante, utilizza le sigle dell’epoca e i nomi di battaglia dei partigiani rigorosamente chiuse tra gli apici; piccoli segni di un notevole studio.
Allora c’è chi infligge il colpo di grazia, che ha un nome poetico ma non è altro che il dono della morte.
Se cercate una lettura semplice non la troverete. Ma troverete una lettura che vi spiegherà, in maniera efficace, precisa, coincisa, fatti e personaggi, e, una volta terminata, vi sembrerà di aver lasciato degli amici, e non riuscirete più a guardare un anziano senza pensare che lui da quei fatti ci è passato, che magari ha vissuto situazioni al di fuori dall’ordinario e che magari ha anche visto cose che mai vorremmo vedere al giorno d’oggi.
È un libro che non finisce nemmeno quando è finito, nemmeno quando avremo chiuso l’ultima pagina. Perché, come tutte le migliori storie, ci sarà un momento in cui si sentirà il bisogno di tenerla nuovamente tra le mani, assaporarla con gli occhi e tornarla a leggere.