Anselmo e la dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio.
A cura di
Armando Comi
“
Dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste in modo cosí vero, che non può neppure essere pensato non esistente.” Anselmo, Proslogion.
Anselmo entra appieno tra i filosofi della Scolastica, la filosofia cristiana che domina per tre secoli dal 1000 al 1300 circa. Con la Scolastica la filosofia diventa teologia. Rappresenta il grande confronto tra ragione e fede, l’obiettivo della Scolastica è dimostrare l’esistenza di Dio senza usare la Bibbia.
Anselmo, nato ad Aosta, divenne vescovo di Canterbury nel 1093.
Il suo pensiero è destinato a dominare il dibattito intorno all’
esistenza di Dio per tutto il medioevo fino all’Illuminismo.
Anselmo elabora due dimostrazioni razionali:
- Ex gradu: è la dimostrazione a posteriori, ovvero osservando il mondo vuole dimostrare l’esistenza di Dio.
- Dimostrazione ontologica: è la dimostrazione a priori, ovvero partendo dall’idea di Dio vuole dimostrare la realtà divina.
Ex Gradu
Anselmo non dimostra l’esistenza di Dio accettando che esiste, ma fa il contrario, ne dimostra l’esistenza a partire dall’unica cosa di cui è certo:
l’esistenza del mondo, ovvero dal creato.
Dal creato risale al creatore. Si tratta di una investigazione filosofica che parte da un indizio per rintracciare il responsabile del fatto osservato, un po’ come se volesse dimostrare che un’artista esiste osservando la sua opera d’arte.
Perché dimostrazione
ex gradu, ovvero a “partire dai gradi”? Perché Anselmo divide la realtà in gradazioni,
come le sfumature di un colore. Vi sono gradualità in cui è ordinato il cosmo. In natura ogni cosa presenta dei gradi: lunghezza, calore, durezza, giustizia, piacevolezza, ecc. Di ognuna delle cose della natura si può dire che presenti un grado differente rispetto a un’altra, ad esempio si può dire che una cosa è più bella di un’altra, che una cosa è meno profumata di un’altra, che un’azione è più giusta di un’altra, ecc. Siamo capaci di trovare i gradi in cui è ordinato il creato.
Ogni grado è un attributo, una qualità delle cose. Questa è la premessa di Anselmo.
Tuttavia bellezza, calore, giustizia, profumo, non possono avanzare all’infinito nella scala dei gradi, deve esserci il grado massimo di bellezza, il grado massimo di calore, il grado massimo di giustizia. Il grado massimo di tutti i gradi è Dio.
La domanda diventa allora: dunque Dio è anche il grado massimo del male o della bruttezza?
Questo non è possibile, perché la bruttezza è solo il grado minimo di bellezza, non esiste la qualità del brutto, ma esiste la qualità del bello di cui il brutto è privo. Lo stesso vale per il male. Il male non esiste, è solo grado infimo del bene, privazione di bene.
Prova ontologica
Anselmo nella seconda dimostrazione percorre il percorso inverso, parte dall’idea di Dio per dimostrare Dio. Il
Proslogion è l’opera dove dimostra questa tesi. Lo fa attraverso un dialogo tra un credente e un ateo.
L’ateo dice di non credere in Dio.
Il credente gli dimostra l’esistenza di Dio a partire dal fatto che solo il fatto di aver pensato Dio, anche solo per negarlo, ne dimostra l’esistenza.
L’ateo, quando dice “
Dio non esiste”,
sta sostenendo che l’essere perfetto non esiste. Ma se l’ateo pensa ad un essere perfetto, non può negarne l’esistenza, perché l’idea stessa di perfezione include l’esistenza. Se la perfezione, ovvero Dio, non esistesse, non sarebbe stata formulabile la frase “Dio non esiste”.
Se l’idea di perfezione esiste nella mente di qualcuno, vuol dire che la mente arriva a concepire la perfezione. Il fatto stesso che la perfezione sia pensabile, ne dimostra l’esistenza. Se l’uomo è arrivato a pensare la perfezione, vuol dire che la perfezione c’è, e non è presente solo nella mente, ma nella realtà. La perfezione esiste sia logicamente che realmente, ovvero sia nella mente che nella realtà.
Dio è dunque il limite massimo a cui può arrivare il pensiero umano. La più alta cosa pensabile.
Il Dio di Anselmo è quasi un esercizio mentale:
A:-pensa la cosa più alta a cui puoi pensare, ne vedi la fine?
B:-No.
A:-Quello è Dio.
Armando Comi
Ecco un brano dal
Proslogion:
Ora crediamo che tu sia qualche cosa di cui nulla può pensarsi piú grande. O che forse non esiste una tale natura, poiché “lo stolto disse in cuor suo: Dio non esiste”? (Ps., 13, 1 e 52, 1). Ma certo, quel medesimo stolto, quando sente ciò che io dico, e cioè la frase “qualcosa di cui nulla può pensarsi piú grande”, capisce quello che ode; e ciò che egli capisce è nel suo intelletto, anche se egli non intende che quella cosa esista. Altro infatti è che una cosa sia nell’intelletto, altro intendere che la cosa sia. Infatti, quando il pittore si rappresenta ciò che dovrà dipingere, ha nell’intelletto l’opera sua, ma non intende ancora che esista quell’opera che egli non ha ancor fatto. Quando invece l’ha già dipinta, non solo l’ha nell’intelletto, ma intende che l’opera fatta esiste. Anche lo stolto, dunque, deve convincersi che vi è almeno nell’intelletto una cosa della quale nulla può pensarsi piú grande, poiché egli capisce questa frase quando la ode, e tutto ciò che si capisce è nell’intelletto.
Ma, certamente, ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo nell’intelletto. Infatti, se esistesse solo nell’intelletto, si potrebbe pensare che esistesse anche nella realtà, e questo sarebbe piú grande. Se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste solo nell’intelletto, ciò di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggiore. Il che è contraddittorio. Esiste dunque senza dubbio qualche cosa di cui non si può pensare il maggiore e nell’intelletto e nella realtà.
E questo ente esiste in modo cosí vero che non può neppure essere pensato non esistente. Infatti si può pensare che esista qualche cosa che non può essere pensato non esistente; e questo è maggiore di ciò che può essere pensato non esistente. Perciò, se ciò di cui non si può pensare il maggiore può essere pensato non esistente, esso non sarà piú ciò di cui non si può pensare il maggiore, il che è contraddittorio. Dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste in modo cosí vero, che non può neppure essere pensato non esistente.
E questo sei tu, o Signore Dio nostro.
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1966, vol. IV, pagg. 691, 693-694)
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