- La cuisine gauloise continue, Anne Flouest, Jean-Paul Roumac
- Lo sviluppo delle bevande fermentate nella preistoria e protostoria della Cisalpina, sulla base dei dati archeologici e linguistici, Filippo Maria Gambari
- La cuisine gauloise, Brigitte Lepretre
Bentrovati lettori di TSD! Continua il nostro viaggio nel mondo celtico. Stavolta vediamo quali bevande erano presenti sulle loro tavole e perché proprio quelle! Buona bevuta… pardon, buona lettura!
Articolo a cura di Giancarla Erba
Il troppo freddo altera il carattere temperato del clima, il paese non produce né vino né olio; quindi i Galli che sono privati di questi prodotti preparano a partire dall’orzo una bevanda che viene chiamata zythos e usano anche del succo proveniente dal lavaggio della cera d’api.”
Diodoro, Biblioteca storica, V, 25-26
Ateneo (IV,13) cita Posidonio il quale nota che i Galli bevono una birra nella quale aggiungono del miele, zythos, e una birra di frumento senza miele, korma (curmi) , ma che la maggior parte beveva l’idromele del quale spiega la preparazione: il favo veniva lasciato nell’acqua per la fermentazione.
Plinio ricorda anche che i Galli bevevano della birra d’orzo chiamata Cervoise, ceruesia.
Plinio, storia naturale, XXII, 82, 164
Ateneo precisa: “I Galli aggiungono del cumino alla loro bevanda.”
Ateneo, I Dipnosofisti, IV, 13
I Celti bevevano prevalentemente birra preparata in diversi modi e che serviva per il consumo quotidiano ecco perché la preparavano in diversi modi. La zythos citata da Posidonio, è l’antenata delle nostre birre chiare e a bassa gradazione, ricavate dallo sbriciolamento di pani di orzo fermentati. La bryton è prodotta a partire dal farro, una birra abbastanza forte e gassosa e ancora abbastanza chiara. La celia è una birra bionda di frumento diffusa in Cisalpina, il cui nome deriva dal lago Ceresius, oggi lago di Lugano e probabilmente da Ceres (TO).
Ma quella che probabilmente aveva più successo in quanto citata da Posidonio, Dioscoride e Marcellus Empiricus è la curmi, birra chiara a base d’orzo, addizionata con del miele e rifermentata per ottenere una bevanda frizzante, tipica della Gallia richiama i toponimi Cormignano (BS) e Cormano (MI); l’aggiunta di miele si rendeva necessaria per aumentare la gradazione. Altra varietà molto importante è la ceruisia/cervogia, birra rossa o brunastra a base di orzo tostato o fumigato, non mielata e aromatizzata.
Riassumendo, tra le bevande fermentate nel mondo celtico possiamo elencare cinque grandi famiglie: l’alica, leggera nutriente e depurante, bevanda quotidiana derivata dalla spelta; la celia, birra bionda a base di frumento; il bryton birra a media gradazione a prevalenza di farro; la cervogia, birra rossa d’orzo fumigato o tostato e la curmi birra leggera e frizzante con aggiunta di miele destinata ad un consumo galante e mondano. È importante rilevare che nei ritrovamenti, alcune di queste bevande contengono luppolo e da alcune evidenze archeologiche di Pombia, pare che queste bevande forti e con il luppolo come componente risalgano addirittura al 550 a.C.
Plinio cita l’evoluzione tecnologica della produzione della birra in Cisalpina che consente di ottenere una bevanda che porti all’ebbrezza, che viene invecchiata in botti e da cui si estrae il lievito, accantonandolo per la produzione di un pane più morbido.
L’idromele, detto medu, è una bevanda a base di miele e spezie che viene consumata per lo più dalla nobiltà e nelle occasioni speciali come banchetti sacri o riti. Il suo nome deriva dalle parole greche “hydor” (acqua) e “mèli” (miele), e qui sta l’essenza di questo prodotto, una mescita fra acqua e miele, per ottenere la naturale fermentazione alcolica. La sacralità dell’ape quale animale messaggero del cielo, che trasforma il sole in miele, e l’acqua vista come la linfa vitale che scorre nelle vene della madre terra rendono l’Idromele sacro presso i Celti, come essenza del divino nell’unione fra cielo e terra. Nella mitologia indoeuropea l’Idromele è la bevanda tipica dell’aldilà, nel mondo celtico come in quello germanico.
Nell’Europa celtica (IX°-I° sec. a.C.) era bevuto dai Druidi e dalle tribù nelle cerimonie sacre che scandivano il ritmo delle stagioni. Si consumava nelle feste di Samonios (l’odierno Ognissanti a novembre) capodanno celtico, ad Imbolc (il giorno della Candelora a febbraio) festa di fine inverno e rinascita della natura, a Beltane (maggio) festa propiziatoria di fertilità durante la quale venivano celebrati i matrimoni, a Lugnasad (agosto) festa di ringraziamento per i doni della stagione agricola, ed infine agli equinozi di autunno e primavera e nei solstizi d’estate e d’inverno. L’uso era finalizzato ad ottenere l’ebbrezza alcolica per potersi avvicinare al divino fino ad incontrarlo.
Questo sviluppo teconologico della birra e l’abitudine a bere pura una bevanda di gradazione mediamente più alta delle miscele annacquate di vino del mondo classico, influenza la viticoltura a partire dal VII° sec. a.C. quando, per influenza etrusca, si diffonde anche in Transpadana la vite coltivata e la tecnica dell’alberata (arbustum gallicum). Abituati a bere birre di buona gradazione, i Celti bevono puro, non annacquato o addizionato di resine e aromi, il vino tannico di produzione locale, ossigenato ed invecchiato in grandi botti lignee, differenziandosi notevolmente rispetto alla tradizione classica mediterranea di Greci, Romani ed Etruschi e aprendo la strada alla moderna enologia e ad un modo di degustare il vino oggi considerato irrinunciabile.
Il vino viene conservato in botti che Strabone definisce “grandi come case” e Plinio parla di alcuni ceppi di vite che saranno gli antenati del moderno Nebbiolo e dello Spanna. Nel III° sec. i Celti transpadani elaborano un vaso per l’ossigenazione del vino simile agli attuali decanter: la fiasca a trottola.
Bibliografia: