Il Medioevo Viaggio nella storia

La morte nera (quarta e ultima parte) – a cura di Salvatore Argiolas

Termina qui il nostro viaggio negli anni della Peste, la Morte nera. Con questo quarto e ultimo articolo, Salvatore Argiolas ce ne racconta la fine, con le sue conseguenze, negative e, incredibile a dirsi, anche positive. Se avete perso i primi tre articoli, ecco i link di seguito:

La morte nera (prima parte) La morte nera (seconda parte) La morte nera (terza parte)

Articolo a cura di Salvatore Argiolas La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere ‘superato’. Senza la crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lieve brezze. Albert Einstein “Il mondo come io lo vedo”, 1931 Il passaggio della Morte Nera in Europa fu un avvenimento altamente traumatico tanto che molti storici parlano di fine del Medioevo. In effetti niente fu come prima, ci fu un cambiamento psicologico, economico, sociale di portata epocale. La paura della morte portò ad un imbarbarimento dei rapporti umani, si susseguirono i saccheggi di case e villaggi, tanti malati non furono curati e, secondo Matteo Villani, molti, “si diedero alla più sconcia e disordinata vita che prima non aveano usata (…) scorrendo senza freno alla lussuria”. La ricerca del piacere e del divertimento, il desiderio di belle opere d’arte o di avventure amorose sembrano aver raggiunto il massimo dell’intensità nei primi decenni dopo la peste nera per poi favorire, nel periodo successivo, determinati sviluppi nell’economia e nella società. La nuova sensibilità per la fugacità del tempo, favorita in egual misura sia dalla peste che dall’invenzione dell’orologio meccanico pervase la società e non interessò soltanto poeti e intellettuali. Molti contadini si spostarono nelle città che avevano bisogno di braccia da lavoro per coprire i numerosi vuoti causati dal morbo e di conseguenza la campagne si spopolarono in modo drammatico accentuando il deficit di manodopera nei campi. Paradossalmente questo fatto favorì i contadini in quanto riuscirono a spuntare affitti ridotti o addirittura cancellati per un anno o più dai proprietari terrieri disposti a tutto purché ci fosse qualcuno che coltivasse i terreni e non li lasciasse incolti. Quando la mortalità diminuì le merci divennero scarse e i prezzi salirono alle stelle. La scarsità di manodopera provocò una concertata richiesta di aumenti salariali. I contadini, come gli artigiani, gli operai, gli impiegati e i preti si fecero forti del fatto che erano rimasti in pochi e in molte corporazioni gli operai rivendicarono una paga più alta e orari di lavoro più brevi, iniziativa rivoluzionaria in un’epoca in cui la condizione sociale veniva considerata immutabile. Nonostante i decreti del re di Francia il salario del muratore parigino si quadruplicò nei dieci anni successivi all’attacco della peste. Se prima del 1348 i vogatori sulle galere erano tutti lavoratori liberi e volontari, i cosiddetti “buonavoglia”, dopo il 1351 non si trovò più nessuno che volontariamente accettasse il posto di vogatore e sulle galere vennero da allora impiegati schiavi o criminali condannati e da questa condizione forzata nacque i termine galera che indica, per estensione, il carcere. Le terre marginali furono abbandonate: in Germania il fenomeno fu conosciuto con il nome di Wüstungen e in Inghilterra fu sempre più frequente il caso dei “lost villages” (villaggi abbandonati). Con l’abbandono delle terre meno fertili la produttività media nel settore agricolo aumentò sensibilmente. I consumi aumentarono di quantità e di qualità fra ceti sempre più ampi della popolazione. Il tasso di interesse tese a portarsi su livelli più elevati. Iniziò insomma una fase del tutto nuova dello sviluppo economico dell’Europa occidentale. Secondo il celebre storico Georges Duby:
la condizione di vita si elevò di un gradino a tutti i livelli dell’edificio sociale. Non rimane praticamente niente dell’equipaggiamento degli uomini che sia anteriore alla Grande Peste. Tutto ciò che possiamo vedere o toccare oggi, le case, il mobilio, l’utensileria, gli abiti, risalgono al periodo successivo. Perché? Perché la nuova agiatezza permise da quel momento di costruire in pietra ciò che si costruiva con rami o con argilla e paglia, di portare tessuti e panno invece di pelli di animali, di usare coppe e scodelle meno ridicole. Permetteva a tutta questa gente, costretta a vivere di pane e acqua, di mangiare la carne, di bere il vino.
Naturalmente non ci fu un processo lineare e omogeneo ma si verificò un alternarsi di aperture e chiusure come quelle delle corporazioni artigiane che, una volta raggiunto il potere nelle città e riottenuto un congruo numero di membri, limitarono drasticamente l’immigrazione, chiudendo di fatto le porte dei centri abitati. La risposta dei governanti alle richieste di aumento salariale fu in molti casi negativa e immediata come in Inghilterra dove nel 1349 fu emanata un’ordinanza che ingiungeva a tutti di continuare a prestare la loro opera per la paga del 1347 e vennero fissate delle penalità per chi si rifiutava di farlo o per chi abbandonava un posto per un altro meglio retribuito e per quei datori di lavoro che offrivano paghe più elevate. Le ricchezze migrarono dalle campagne verso le città che ebbero un monopolio del potere e dalla cultura con la conseguente crescita culturale che pose le basi per il periodo di fulgore chiamato in seguito Rinascimento. In seguito alla prima grande epidemia in poco tempo ci fu infatti un’enorme ridistribuzione di ricchezza di cui facevano parte non solo i beni dei cristiani morti di peste ma anche i patrimoni degli ebrei uccisi, cacciati o rimasti uccisi dal morbo, che vennero incamerati dai comuni o dal re. Una tale redistribuzione dei patrimoni provocò un’ampia trasformazione sociale e iniziò l’ascesa del ceto medio, particolarmente delle corporazioni mentre il vecchio patriziato, sebbene privilegiato perse quasi completamente la posizione di supremazia. Grazie all’autorevolezza delle corporazioni che reclamavano anche diritti politici, gli artigiani divennero il gruppo sociale più potente. Col tempo le epidemie di peste divennero sempre più rare ma restò forte nella psicologia delle persone il ricordo di un evento rivoluzionario e traumatico e ciò è dimostrato anche da quanto raccontato da Jacques Lacan. Secondo lo psicanalista francese Sigmund Freud in occasione del viaggio negli USA nel 1909, volendo sottolineare la carica di rottura portata nel mondo scientifico dalla disciplina della psicoanalisi, disse a Carl Gustav Jung
Ci aspettano con riverenza ma non sanno che portiamo loro la peste.
Riferimenti bibliografici: La peste nera e la fine del Medioevo di Klaus Bergdolt Piemme 1997 Storia facile dell’economia italiana dal medioevo a oggi di Carlo M. Cipolla Arnoldo Mondadori Editore 1995 Nel nome del Signore. L’Europa dall’anno Mille alla fine del Medioevo di William Chester Jordan Laterza 2013 Il Medioevo. Da Ugo Capeto a Giovanna d’Arco di Georges Duby Laterza 1993 Storia dell’economia mondiale. Dall’antichità al Medioevo a cura di Valerio Castronovo Laterza 2019 Uno specchio lontano di Barbara W. Tuchman Mondadori 1979 Il Medioevo a cura di Umberto Eco Motta 2009 Storia dei sardi e della Sardegna. Il Medioevo dai giudicati agli aragonesi a cura di Massimo Guidetti Jaca Book 1987 La storia di Sardegna. Evo Moderno Sardo. Il Regno di Sardegna (1324-1700) Francesco Cesare Casula Carlo Delfino Editore 1994
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