La storia in cucina Viaggio nella storia

La cucina dei Celti: l’attrezzatura

Il blog TSD è lieto di farvi intraprendere un viaggio nel mondo celtico, più precisamente ci addentreremo nel “lato cucina”: come cucinavano, di cosa si nutrivano, cosa bevevano i Celti? Mettetevi comodi, dunque, e prima di sederci alla loro tavola, facciamo un salto vicino al fuoco e… Articolo a cura di Giancarla Erba Quando si parla di cucina gallica si pensa istintivamente al cinghiale. Non vediamo sempre Obelix tenerne un pezzo in mano? Ma la realtà non è sempre uguale al disegno animato. “I Celti presentano i loro cibi posandoli sopra una lettiera d’erba o su dei tavoli di legno poco elevati dal suolo. Il loro nutrimento consiste in un piccolo numero di pani e di molta carne bollita o cotta su carboni e spiedi. Se ne servono propriamente ma come dei leoni, prendendo a due mani dei pezzi interi e mordendoli, e se trovano un pezzo difficile da dilaniare, lo tagliano con un piccolo coltello, che occupa un posto speciale nel fodero delle loro spade. Servono pesci che si trovano sia nei fiumi, sia nei due mari interno ed esterno, cotti con del sale, dell’aceto e del cumino (che mettono ugualmente nelle bevande). Non usano olio a causa della sua scarsità e perché il fatto di non essere un’abitudine lo fa sembrare loro sgradevole. I servitori fanno circolare la bevanda in vasi che sembrano anfore, in argilla o argento. In effetti, i piatti sui quali presentano i cibi sono per una parte in bronzo ma ci sono anche dei cesti di legno o dei panieri Quanto alle bevande, per i ricchi c’è il vino che fanno venire dall’Italia, o dalla regione marsigliese, normalmente servito puro, talvolta mischiato ad un po’ d’acqua; per i meno ricchi, è la birra d’orzo preparata talvolta con del miele, ma, per la maggior parte delle volte, talquale: la chiamano Korma. Attingono alla stessa coppa a piccoli sorsi senza eccedere mai l’oncia, ma lo fanno piuttosto spesso; il servitore si muove da destra a sinistra, E’ in questo modo che servono ed è lo stesso, girati verso destra, verso cui indirizzano le loro preghiere agli dei.” Ateneo, I Deipnosofisti, IV, 151-152 I Celti erano più contadini che cacciatori, difficile da credere ma era così. Negli scavi archeologici degli ultimi trent’anni si è scoperto che raramente mangiavano animali selvatici. L’orzo era il loro cereale favorito, disponibile in abbondanza in quanto la Gallia era una terra molto fertile e i Celti eccellenti artigiani, ciò consentiva loro di avere a disposizione i migliori utensili agricoli, nettamente più avanzati dei Germani e talvolta persino dei Romani. Dato che erano sedentari, i Celti hanno lavorato le loro terre fino a far diventare la Gallia una delle terre più produttive del mondo antico. Si stima che producessero 2/3 volte in più dei loro bisogni di nutrimento, rivendendo l’eccedente. L’attrezzatura in cucina Prima di parlare di cucina, sembra indispensabile ritrovare la donna Gallica nel suo ambiente e d’inventariare la batteria, le stoviglie e gli utensili culinari dei quali poteva disporre. Gli archeologi ritrovano gli oggetti in pietra o in metallo (bronzo e ferro forgiato), migliaia di cocci di ceramica e, più raramente, dei resti di materia organica (legno, crini, cuoio, corni, tessuti). Se, talvolta, delle analisi di tracce portano prove inconfutabili della funzione dei recipienti, è essenzialmente per la similitudine con le forme degli oggetti di oggi che queste vestigia sono interpretate come utensili, accessori e recipienti adatti alle attività culinarie, alla conservazione degli alimenti o al loro consumo. E’ in un corpus ricco di ceramiche galliche che la batteria e il vasellame sono stati scelti. Una logica funzionale è stata utilizzata per la loro descrizione: approvvigionamento, trasporto, stoccaggio, collocazione delle provviste, preparazione, cottura e servizio. La donna Gallica faceva scorta di prodotti della “fattoria” tramite la raccolta in giardino o sui bordi delle strade e tramite delle raccolte nei boschi. Senza dubbio andava al mercato, anche se è difficile trovare la prova archeologica. Per contro, sono stati identificati i resti di armi, di gabbie, di trappole del bracconiere-cacciatore, degli strumenti da pescatore e delle vanghe da giardiniere. Andare a cercare acqua al fiume, alla fontana, ai pozzi o nei laghi è uno dei lavori quotidiani vitali. I mezzi di trasporto sono talvolta delle damigiane panciute in ceramica, talvolta dei secchi in legno fatti come “botticelle” cerchiate nel modo delle botti. Gli scrittori latini, abituati ai contenitori di terracotta che viaggiavano per il Mediterraneo, rimasero colpiti da questo genere di recipienti per la conservazione ed il trasporto di bevande, tanto che “nelle regioni alpine – nota Plinio – le si racchiude in recipienti di legno rinforzati con cerchiature” (N.H.XVI,75) Le provviste dovevano essere, come oggi, sistemate al secco o al fresco, in un locale o nella cava a secondo della loro natura. I dati archeologici riguardanti la conservazione e la sistemazione delle riserve sono numerosi. All’esterno delle abitazioni, si trovano dei magazzini sopraelevati su pali, che avevano una superficie di circa 4 mq. in media e, scavate nel suolo, fosse di diversa forma e silos con capacità da 1 a 3 m3. Inoltre, all’interno delle case, delle dispense e delle cantine servivano a depositare i cereali, ma anche tutti i tipi di legumi, le ghiande e altri vasi di conserva. I vasi in ceramica destinati al confezionamento o alla conservazione sono numerosi e differenti da un sito all’altro. I vasi potevano contenere del miele, del grasso, delle vivande conservate sotto sale, dei legumi secchi o del grano a seconda della loro capacità che varia dal quarto o mezzo litro a più di 120 litri. Il sale era senza dubbio conservato al secco vicino ai focolari, in un vaso di ceramica o in scatole in legno. Le vivande salate erano verosimilmente conservate in mastelli e cassepanche in legno o in salatoi di ceramica. Quanto alla salamoia, i vasi sembrano adattarsi molto bene. Malgrado fosse ridotto il lavoro di spelatura in questi tempi in cui non si conoscevano le patate, per preparare gli alimenti e renderli commestibili, dunque per lavare, sbucciare, grattare, smembrare, tranciare, pressare, impastare, filtrare, setacciare, misurare, versare, scolare, macinare, frantumare, pestare…, la donna Gallica non dispone di piano di lavoro in altezza: cucina accovacciata o piegata verso terra, sul pavimento. Si suppone che utilizzi un ceppo o un asse per tagliare. Possiede – è attestato da fonti archeologiche – vari utensili: almeno tre tipi di coltelli (uno corto, standard; uno largo e lungo per tranciare; uno fine e flessibile per disossare…), una pietra per affilare, parecchie stoviglie in legno, uno sbattitore in vimini o fatto di un piccolo gruppo di rami fini, dei setacci in crine o in tela, un rullo, delle fiscelle, vasellame in legno o ceramica (taglieri, piatti, bicchieri, tazze, scodelle), un macinino e… una macina. L’utilizzo della macina a rotazione in pietra, introdotta presso i Galli nel III° sec. a.C., era molto utilizzata. A Bibracte gli archeologi ne hanno portate in superficie diverse centinaia. Ciò significa che ce n’era una per casa. Si può supporre che la casalinga cominciava il suo lavoro in mattinata per macinare diversi chilogrammi di grani d’orzo, di farro, di malto e di aromi. Senza macina, niente cucina gallica! Per macinare e avere un buon rendimento, l’esperienza fatta con una macina fabbricata secondo questi consigli, mostra che il movimento rotativo continuo dà un risultato migliore del movimento alternato. Ma vi sono in gioco anche altre condizioni: la qualità del cereale, il tasso di umidità (14% massimo) e il ritmo di alimentazione della macina che è più importante della velocità. Con un po’ di destrezza, in un’ora e mezza si può ottenere fino a 1 kg. di macinatura composta da 600 g di bella farina, 220 g di semola e 180 di scarto. Se si stima che il consumo quotidiano di cereale macinato (farina, semola) può essere di 0,5 kg a persona, significa 3 kg per una famiglia di sei persone. Il tempo passato a macinare doveva quindi essere di 4h30 al giorno, non continue ma a turni alterni… Il focolare è il centro della vita domestica. Illumina e riscalda in inverno. La Donna gallica vi cuoce i pasti. Talvolta a fiamma viva, più spesso sulle braci, economico, pronto ad essere ravvivato quando dorme sotto le ceneri. Un paio di alari in ceramica o in ferro forgiato, decorati con teste di ariete o di bovidi, possono sostenere i ciocchi. Grigliare è il primo sistema di cottura della carne, fin dall’utilizzo del fuoco da più di 400.000 anni, e questa pratica resta tutt’ora apprezzata. I Galli disponevano di griglie in ferro forgiato, simili a quelle di oggi. Per grigliare, è sufficiente ripartire bene la braci sulla suola e dosare il calore desiderato spostando la griglia. Dei forchettoni permettono di manipolare e di infilzare i pezzi di carne. I forchettoni si posano sugli alari in ferro. Molti vasi e terrine potevano essere disposti contemporaneamente attorno al fuoco. La cucina in vasi e terrine è dolce, dato che la terra possiede una forte inerzia termica. Gli utensili per il fuoco conosciuti dagli archeologi sono le palette, gli spiedi e gli spiedini, le indispensabili scodelle, le spatole e le fruste in legno. Bibliografia:
  • La cuisine gauloise continue, Anne Flouest, Jean-Paul Roumac
  • Lo sviluppo delle bevande fermentate nella preistoria e protostoria della Cisalpina, sulla base dei dati archeologici e linguistici, Filippo Maria Gambari
  • La cuisine gauloise, Brigitte Lepretre
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