Addio, Leonardo!
1515. Leonardo arriva ad Amboise, in Francia: afflitto dall’isolamento cui Roma lo aveva costretto, dopo un primo rifugio a Bologna, morto Giuliano de’ Medici, venutagli dunque meno la protezione di cui godeva, Leonardo aveva accettato l’invito di Francesco I di Francia e, fiaccato dalla gotta, era partito per la Francia con al suo seguito il suo fido servitore Battista de Villanis ed i suoi allievi Francesco Melzi e Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì, il quale, però, si era fermato in Lombardia, dove Leonardo stesso gli concede di edificare un suo terreno messo a vigne.
Primavera 1518. Leonardo ha 65 anni, ma ne dimostra molti di più. La sua salute è rapidamente peggiorata e gli anni sono con lui inclementi. Continua a dipingere e, soprattutto, a disegnare, sebbene una paralisi gli abbia colpito il braccio destro (tanto da ricevere una pensione di 5.000 scudi annui dallo stesso Francesco I) ed abbia bisogno del costante aiuto del suo allievo Melzi; inoltre si dedica a scrivere non pochi trattati. Il genio italiano pensa ancora alla sua arte, a lasciare un testamento artistico – come se non avesse lasciato già abbastanza materiale – ma anche sotto il profilo giuridico sente di dover mettere ordine nella sua vita.
Fine aprile 1519. Sabato Santo. Leonardo fa chiamare al suo capezzale il notaio Guglielmo Boreau per dettare testamento, alla presenza di Melzi e di sei testimoni ecclesiastici. Lascia:
- quattrocento scudi ai suoi fratelli, dai quali, avendogli costoro negato l’eredità paterna, lo aveva diviso una lunga lite finita in tribunale;
- metà del vigneto milanese al suo discepolo Salaì, che già lo stava occupando, e l’altra metà al suo servitore de Villanis. Aver diviso il vigneto tra i due è una punizione per Salaì, al quale sottrae metà di un proprietà che gli avrebbe lasciato intera se questi non si fosse distaccato da lui, scegliendo di non andare in Francia.
- Al Melzi va tutto il resto.
Nulla è lasciato al caso.
Dà precise disposizioni anche su come si sarebbe dovuto svolgere il funerale e sul luogo di sepoltura, ossia la cappella reale della chiesa di S. Fiorentino ad Amboise.
Lascia, inoltre, i soldi per le candele e per le trenta messe basse (messe officiata da un prete con l’assistenza di uno o due chierichetti anziché di un diacono o suddiacono o altro ministro del culto) e le tre alte (messa solenne, celebrata con canto da un presbitero con l’assistenza di un diacono e un suddiacono. Il ruolo degli ultimi due è spesso supplito da due preti) che vuole siano celebrate in suo suffragio.
Viene, quindi, lasciato solo con frate Guglielmo Croisant, suo amico di vecchia data: vuole confessarsi e fare la comunione, ma insiste per ricevere il sacramento in ginocchio e devono, dunque, rientrare nella stanza il Melzi ed il de Villanis per aiutarlo. Si aggrappa alle loro braccia e si comunica, sciogliendo nelle lacrime la consapevolezza non tanto della morte vicina, che a quel punto sente amica, quanto dell’ormai lontana immagine dell’uomo forte ed energico che era stato.
Negli otto giorni successivi resta nel suo letto in un sonno continuo, interrotto solo da brevi deliri. Il Melzi, che lo veglia notte e giorno, non riferirà mai quelle sue ultime sporadiche parole, ormai sepolte nei secoli. Il 2 maggio, nella costernazione di chi lo circonda, sulla voce sommessa di frate Guglielmo, chiamato al suo capezzale per la preghiera degli agonizzanti, Leonardo, il genio Leonardo, esala l’anima.
“
Sì come una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire”: è questo l’unico epitaffio tramandato ai posteri, che pare sia stato il Melzi a pronunciarlo.
Per tre giorni i cittadini di Amboise possono visitare la salma, che, inizialmente, viene inumata nell’Orto di S. Fiorentino, non essendo ancora pronta la tomba nella cappella reale. La disperazione per la morte dello scienziato fu grande anche in Francesco I che, viene raccontato, si lasciò andare a un pianto disperato di fronte alle spoglie dell’uomo. Al suo funerale parteciparono
60 poveri e i frati e cappellani minori perché queste erano state le disposizioni di Leonardo: un funerale con gli ultimi del popolo e della chiesa.
Ma qui ha inizio il mistero:
passano circa 3 mesi e mezzo prima che le spoglie di Leonardo trovino sepoltura in una tomba. Il 12 agosto la salma viene traslata nella tomba a lui dedicata. Una tomba degna del suo nome, si dice, ma di cui nessuno parla, che nessuno descrive; una tomba che nessuno si preoccupa di visitare, quasi un ingiusto oblio sia destinato a ricoprire non solo le spoglie ma il nome stesso del Maestro.
Solo nel XVIII secolo, nello sforzo di ricomporre la sua opera,
si cercherà quella tomba.
Risale al Settecento la scoperta del suo
testamento (che potete leggere per intero a questo link), che offre certezza sul luogo della morte e della sepoltura, e, dunque, sul luogo dove cercare. La ricerca, però, è farraginosa: quel luogo non è più com’era. Nel 1560, infatti, la chiesa di S. Fiorentino era stata devastata ed abbandonata. Lapidi rotte, salme trafugate, suppellettili rubate, poche le lapidi ancora inviolate e, tra queste, non figura quella di Leonardo. E purtroppo, S. Fiorentino subirà altre profanazioni e devastazioni
con la Rivoluzione Francese, le stesse mura della chiesa non resistono. Ormai pericolante, viene fatta demolire nel 1808 dal prefetto napoleonico. Le lastre di marmo delle lapidi vengono riutilizzate altrove ed il piombo delle bare fuso. Tra le macerie, seppellite alla buona, ci sono solo mucchi d’ossa e spigoli di marmo sfuggiti alle ruberie. Nessuno è in grado di verificare se, tra quelle ossa, vi siano quelle di Leonardo da Vinci.
La ricerca più accurata arriva nella seconda metà dell’Ottocento. Il poeta francese Arsène Houssaye chiede e ottiene il permesso per cercare i resti di Leonardo. Dopo estenuanti classificazioni d’ossa, rinviene uno scheletro composto, dell’altezza di Leonardo, con il teschio appoggiato alla mano. L’animo poetico di Houssaye vede in questa posa il pensatore e si convince che quello sia lo scheletro di Leonardo. Lì accanto, inoltre, nota vasi colmi di incenso e mirra, cosa che presuppone una particolare solennità nell’inumazione, ed una moneta d’argento con l’effige di Francesco I senza barba, ossia come era ai tempi del soggiorno francese di Leonardo. Prove deboli, sinceramente. Nella cappella reale erano stati inumati principi e personaggi illustri. Il particolare corredo funerario di quello scheletro non può, dunque, essere considerato una rarità, in quel contesto.
Forse, gli unici elementi veramente indizianti sono tre frammenti di lapide. Nel primo compaiono le lettere
INC, nel secondo
LEO e nel terzo
EO DUS VINC. E’ ben possibile che si tratti della sua lapide, ma da qui a credere che sia suo lo scheletro rinvenuto poco distante, tra migliaia di ossa sparse e d’altri scheletri più o meno completi, ne corre.
Dobbiamo dunque concludere che, tra i tanti misteri che ammantano le opere e la vita di Leonardo, c’è anche quello che riguarda la sua sepoltura.
I presunti resti di Leonardo si trovano oggi nella cappella di Saint-Hubert nel
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