Trama
Inghilterra, 1865. Rimasta vedova e incinta del primo figlio, la giovane e inquieta Elsie parte alla volta della tenuta del marito insieme alla zitellissima cugina di lui, Sarah. Ma in quell’angolo di campagna inglese remoto e inospitale, l’opportunità di trascorrere in pace il periodo del lutto diventa qualcosa di molto più simile a una prigionia: un esilio opprimente in attesa che l’amato fratello Jolyon giunga da Londra a salvare Elsie dall’isolamento e dalla noia. A distrarre lei e Sarah dalla cupa atmosfera in cui sono sprofondate, solo l’intrigante diario di un’antenata dei Bainbridge, Anna, vissuta e tragicamente morta più di duecento anni prima; e la stanza in cui giacciono ammassate decine di figure di legno dalle sembianze realistiche e straordinariamente inquietanti. Quegli “amici silenziosi” che Anna si procurò allo scopo di deliziare ospiti illustri, presto costretti a ripartire in circostanze mai del tutto chiarite.
Recensione a cura di Laura Pitzalis
In The Bridge c’era qualcosa di sbagliato
Atmosfere vittoriane, case scricchiolanti piene di segreti, polvere, morti misteriose, un incendio, un diario, delle sagome di legno, un gatto, naturalmente nero, e le streghe. Gli ingredienti ci sono tutti per definire il libro della
Purcell una storia che mescola l’horror con il thriller psicologico, situazioni terrificanti ad altre fantastiche.
Lo scenario con cui si apre il romanzo ci fa da apripista in
atmosfere cupe e grigie, tetre e inquietanti, a fruscii e brusii che saranno la colonna sonora del libro.
Siamo nel
1865, in un ospedale psichiatrico,
l’Ospedale di St. Joseph.
Elsie Bainbridge è internata come persona pericolosa, accusata di omicidio. Provata dalle esperienze che ha subito, sotto costante sedativo, non parla più e non può o non vuole discolparsi dalle accuse. Sta isolata perché ritenuta violenta per alcuni comportamenti verso il personale infermieristico della struttura e verso altri pazienti. Con lei il
dottor Shepherd, l’unico che vuole aiutarla e l’unico convinto di poterla curare, con tempo e pazienza, cercando di farsi raccontare quello che è successo se non con le parole con la scrittura.
[…] Sono qui per decidere il suo destino. Ma per poterla aiutare, ho bisogno che lei aiuti me. Ho bisogno che mi dica cosa è successo. […] E forse potremo trasformare la sua situazione difficile in un vantaggio. Quando si è verificato un trauma, spesso la vittima ne trae giovamento se riesce a metterlo per iscritto. In modo distaccato. Come se fosse accaduto a qualcun altro.
Elsie accetta di scrivere e così il romanzo si snoda tra due diversi spazi temporali, 1865 – 1635, con storie che s’intrecciano con un unico filo conduttore:
The Bridge, la tenuta dei Bainbridge.
1865 – Elsie Bainbridge è una giovane vedova londinese. Da tempo orfana di entrambi i genitori, ha cresciuto da sola il piccolo fratello, Joylon, e mandato avanti la fabbrica di fiammiferi del padre. Rassegnata a rimanere zitella, troverà, invece, l’amore in Rupert, un uomo facoltoso e più grande di lei, che, però, morirà in circostanze misteriose a pochi mesi dal matrimonio. Con la morte del marito si ritrova sola a occuparsi della tenuta di famiglia del defunto marito e con un bambino in arrivo. Per questo e perché la società del periodo impone che la vedova si ritiri a vivere il lutto in solitudine, insieme alla cugina del marito, Sarah, si reca a Fayford, un paesino decadente tra le sperdute campagne inglesi, nella tenuta dei Bainbridge, The Bridge. L’impatto con il villaggio non è dei migliori:
I finestrini cominciarono ad appannarsi . Elsie si tirò giù la manica e la strofinò contro il vetro. Le passarono lentamente davanti immagini spaventevoli. Tutto era decrepito e ricoperto da erbacee. Dall’erba sbucavano come lapidi i resti di un muro di mattoni grigi, mentre ovunque dilagavano trifogli e felci. […] Una fila di capanne decrepite accovacciate sotto gli alberi, ciascuna con una finestra sfondata o una porta sconnessa. I buchi nei muri erano stati frettolosamente riparati con fango e sterco. L’incannicciato malridotto faceva un patetico tentativo di coprire i tetti, ma era punteggiato di muffa. […] Questa non può essere Fayford – rispose […] Io credo proprio di sì! – ansimò – Oh santo cielo.
La casa non si presenta meglio: è in pessime condizioni, ormai da anni trascurata e abbandonata a se stessa, con pochi domestici perché nessuno degli abitanti del vicino villaggio, nonostante le difficoltà economiche, accetta di entrare al servizio della famiglia: le voci dicono che al suo interno sono morte numerose persone in circostanze sospette, e si pensa che, tra quelle mura, sia vissuta anche una strega. Elsie non crede a queste superstizioni, ma scoprirà presto che quella villa è più misteriosa e inquietante di quello che pensava.
Durante l’esplorazione della tenuta, Elsie e Sarah entrano nel solaio, tra vecchi oggetti impolverati scorgono delle inquietanti e realistiche
sagome di legno, gli “Amici”
[…] Sara aveva ragione. In fondo alla stanza, tra le ombre, la scrutavano un paio di occhi bruno-verdastri. […] Era una bambina di circa nove o dieci anni.[…] “ Non è un quadro” disse Sarah. “ E’ … è dipinto, ma non è una tela. […] È piatto. Ma dietro c’è un cavalletto di legno, vede?
Ma chi sono questi “
Amici”? Da un vecchio diario appartenuto ad Anna, un’antenata dei Bainbridge vissuta a The Bridge duecento anni prima, che Elise e Sarah hanno trovato nel solaio, si viene a sapere che queste sagome di legno furono acquistate da Anna Bainbridge per stupire il Re Carlo I e la consorte, la Regina Enrichetta Maria di Francia, che, per una notte, avrebbero fatto tappa nella loro tenuta durante il loro trasferimento estivo.
Da questo momento gli “Amici” diventano protagonisti nella storia,
presenze silenziose che, con l’andare avanti del racconto, appaiono sempre più inquietanti, cominciando ad apparire e scomparire in diversi punti della dimora, lasciando dietro di loro una scia di terrore e paura. E sono loro che fanno da legame tra la narrazione ambientata nell’ 800 e quella del ‘600, rivelandosi testimoni di quanto accaduto nel 1635 agli antenati della famiglia Bainbridge.
1635 –
Anne, con il marito
Josiah vive a The Bridge, la tenuta appena acquistata che diventerà la tenuta della famiglia Bainbridge. A causa di complicanze, dopo aver partorito l’ennesimo figlio maschio, la giovane Anne non potrà più avere figli. Ma lei vuole assolutamente avere una figlia che occupi il posto della sorella morta, e con pozioni e invocazioni particolari, riesce a restare incinta e partorire una bambina che però nascerà muta: Henrietta Maria, detta Hetta, per me, la
seconda presenza silenziosa del romanzo.
Vista da tutti, tranne che dalla madre, come la figlia del demonio per la sua “aberrazione”, e per questo discriminata e schivata, Hetta trascorre le sue giornate da sola a coltivare le sue erbe aromatiche e piantine. Una bambina di nove anni, così particolare e solitaria, così “silenziosa” da essere considerata, da chi legge, una protagonista marginale, ma che invece si scoprirà avere un ruolo fondamentale nel racconto, ruolo che non rivelerò per non svelare troppo della trama.
Un libro avvincente e inquietante. La trama, anche se non originalissima, è ben costruita e i colpi di scena ben misurati. Il ritmo non perde mai la carica. I continui cambi dei tempi di narrazione tengono alta la mia curiosità stimolandomi ad andare avanti in attesa di qualcosa che potrebbe accadere ma che non si sa se accadrà. I temi che sono affrontati sono tanti; bravissima l’autrice a svilupparli in modo smorzato, portandomi ad avere dubbi, a chiedermi se gli avvenimenti che stanno accadendo sono veri o solo frutto della mente delle protagoniste
Grazie ad una trama incalzante, alla scrittura evocativa, allo stile semplice e scorrevole dell’autrice, ho avuto la sensazione di trovarmi nella storia, riuscendo a visualizzare i luoghi di cui si parla e a percepire le sensazioni provate dai personaggi: e mi aggiro tra i corridoi polverosi odoranti di muffa, mi sembra di essere scrutata con sospetto dai domestici, percepisco brividi sulla pelle anche di fronte ad un fuoco scoppiettante e nei momenti di assoluto silenzio sento degli strani rumori
…SSS…SSS…
La descrizione dei personaggi è molto reale, la Purcell li rende vivi e li fa muovere, come in una scacchiera, all’interno di stanze buie e polverose, lievemente rischiarate dal lume di candela o dalle poche lampade a gas. Ma non approfondisce, non li caratterizza a fondo. Come Sarah, la cugina del defunto marito di Elsie, figura che rimane in ombra, la cui storia si conosce solo marginalmente e solo in funzione del vissuto di Elsie, ma che in realtà rappresenta molto di più con un “non so che di misterioso” … per me la
terza presenza silenziosa
E in quest’alone di mistero e di suspence, arrivo al finale che mi sbalordisce, travolgendo tutte le mie congetture: Laura Purcell mi sorprende escogitando un finale che lascia aperte diverse strade dando via alla libera interpretazione del lettore. Geniale!
Non doveva urlare, non doveva urlare. Erano soltanto dei pezzi di legno. Pezzi di legno che non possono muoversi
Copertina rigida: 382 pagine
Editore: DeA Planeta Libri (27 novembre 2018)
Collana: DeA Planeta Libri
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8851166544
ISBN-13: 978-8851166540
Link d’acquisto volume cartaceo: Gli amici silenziosi
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