In attesa della nuova puntata della serie su Rai 1 “Il nome della rosa” tratta dall’omonimo romanzo di Umberto Eco, torna la nostra rubrica di approfondimento diretta da Fabio Cosio che oggi ci porta alla scoperta del movimento apostolico. Gherardino Segarelli e Dolcino da Novara, conosciamoli meglio..Buona lettura!Se avete iniziato a seguirci solo ora, di seguito trovate i link agli altri articoli
Tra i vari movimenti ereticali sorti sul finire del XIII secolo che si ispiravano ai principi di povertà e umiltà come già aveva fatto Francesco d’Assisi, vi erano gli Apostolici.
A differenza di altri movimenti, le cui origini spesso sono confuse o comunque difficili da determinare con precisione, per questa congregazione (o setta, perché gli aggettivi sono scelta di chi li assegna) c’è un testimone d’eccezione, quel fra Salimbene da Adam autore della Cronaca di Parma che, in quanto testimone oculare dei fatti, li presenta in rigoroso ordine cronologico, seppur intenzionato, come si conviene a un uomo di chiesa, a screditarli.
Corre l’anno 1260. Gherardo Segarelli, un giovane del contado, si presenta al convento dei frati Minori di Parma chiedendo di essere ammesso nell’ordine francescano.
La regola dettata dallo stesso santo di Assisi prevede l’accoglienza nell’ordine a chiunque sia disposto a vivere in armonia con Dio, in povertà, senza distinguo di classe sociale o cultura.
Ma qualcosa non va in Gherardino, o forse i frati di quel convento si sono già spostati su posizioni meno tolleranti, fatto sta che lo rifiutano.
Salimbene si trova proprio in quel convento quando questo “giovane del luogo, illetterato e laico, idiota e stolto” si presenta. È sempre lui a informarci che, una volta rifiutato, Gherardino si chiude nella chiesa del convento e passa le giornate a pregare fino a che non matura la sua decisione: torna a casa, vende tutto ciò che ha e distribuisce il ricavato ai poveri. Indossa un saio simile a quello dei francescani e inizia a girare per la città predicando “Poentientiam agite!”, fate penitenza. Ma, sempre secondo Salimbene, è talmente ignorante che non è in grado di pronunciarlo e lo storpia in “Penitenziagite”
Non c’è, nel Gherardino iniziale, l’idea di costituire un movimento, un gruppo. Semplicemente ha deciso di vivere la sua vita imitando gli apostoli, le persone che più sono state vicino a Cristo.
Evidentemente, però, non è così stolto come ci viene raccontato. La sua predicazione attrae sempre più persone. Molti decidono di seguirlo, abbandonando i loro averi e accettando di indossare un unico, semplice saio di tessuto grezzo.
Gherardino viene visto come guida, in quella che è ormai a tutti gli effetti una congregazione, seppur priva di innovativi spunti teologici.
Gherardino non ha una visione diversa delle scritture, non manifesta idee diverse da quelle che da anni ormai vengono predicate dai frati Minori. Gherardino pratica semplicemente uno stile di vita fatto di povertà assoluta; offre lavoro in cambio di ospitalità. Se gli offrono del denaro lo usa per sfamare i suoi fratelli e i bisognosi senza mai tenere niente per sé. Se qualcosa avanza, che si tratti di soldi o di cibo, semplicemente lo lascia lì, a disposizione del prossimo.
Con l’aumentare dei seguaci nasce la necessità di dare una definizione a coloro che chiama fratelli e sorelle.
Come San Francesco aveva chiamato il suo ordine dei Minori, perché umili fra gli uomini, al di sotto di tutti gli altri, Gherardino amplifica ancora la portata. Loro sono i Minimi, ancor più umili dei Minori. Si definisce anche povero in Cristo. Saranno poi il suo pubblico, i suoi seguaci e i tanti simpatizzanti a iniziare a chiamarli apostoli o apostolici, ispirati dal loro agire.
Con il passare del tempo, forse spinto dai suoi compagni, o forse semplicemente grazie ad una maggiore sicurezza in sé stesso data dal successo della sua scelta di vita, Gherardino inizia a maturare una sua personale visione del rapporto con Dio.
È il momento di rottura, dove passa, agli occhi della Chiesa, da personaggio strambo a possibile eretico.
Gherardino si fa circoncidere. Perché Cristo era ebreo e quindi lo era.
Introduce un rito di accettazione nel movimento, che prevede di spogliarsi completamente gettando tutti gli abiti in un unico mucchio per poi redistribuirli a caso.
La nudità, tanto temuta e repressa nella società medievale, per i Minimi diventa un elemento di valore.
Non è insolito trovare Gherardino sdraiato con qualche donna, entrambi nudi, anche nelle piazze; oppure impegnato a succhiarle il seno come un bambino.
Agli occhi di un frate rigoroso come Salimbene, tutto ciò è scandaloso e oltraggioso. Il messaggio che viene colto dai religiosi è quello di assoluta libertà sessuale.
Ma l’intento di Gherardino probabilmente era diverso. Lo scopo della sua recita era duplice: seguire alla lettera ciò che dice Cristo nel Vangelo di Matteo: “perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli”, ma anche dimostrare che l’uomo, se vuole, è in grado di resistere alla tentazione. È un concetto pericoloso, in un’epoca dove l’idea dominante era che la responsabilità totale della tentazione era da imputare alla donna.
Gherardino ribalta il paradigma. Vi è peccato solo se l’uomo è imperfetto, non lo è se invece egli segue tutti i precetti, vive di pura fede ed è in grado di resistere al semplice desiderio carnale. L’atto sessuale diventa invece un segno d’amore nell’uomo perfetto.
Così dice Zaccaria di Sant’Agata, uno dei primi seguaci di Gherardino, interrogato dagli inquisitori e come riportato nei verbali datati Maggio 1299:
“[…] rispose che un uomo e una donna, sia pure non uniti in matrimonio, e un uomo con un uomo e una donna con una donna possono palparsi e toccarsi vicendevolmente nelle zone impudiche e in altre parti del corpo standosene nudi; ciò può avvenire senza ombra di peccato a condizione che vi sia l’intenzione di pervenire alla perfezione. Non riteneva nelle sue affermazioni che tali atti impudichi e carnali fossero peccaminosi e anzi, potevano essere fatti senza peccato in un uomo perfetto.”
Il concetto stesso di uomo o donna tra i Minimi non esiste. Sono “fratelli” e “sorelle” e godono degli stessi diritti. Anche le donne possono predicare, esattamente come gli uomini. Non sono mai si sottoposte a nessuno e anzi, nella cerchia dei fedelissimi ce ne sono parecchie.
Gherardino non si pose mai intenzionalmente in contrapposizione con la Chiesa. Per un concetto semplice ma centrale nel suo pensiero: ogni uomo o donna è il solo responsabile di sé davanti a Dio.
Lo stesso concetto di responsabilità singola diventa però, di conseguenza, il fulcro per l’abbattimento di ogni ordinamento: nessuno ha bisogno di qualcun altro che gli faccia da tramite verso Dio. Tutta la gerarchia della Chiesa perde valore. Non c’è bisogno di confessare i propri peccati a un uomo quando si può parlare direttamente con Dio. Non c’è bisogno di un edificio consacrato per essergli vicino; Dio è ovunque e conosce il cuore di tutti. Una stalla o un bosco valgono tanto quanto una chiesa per pregare.
Per lo stesso motivo Gherardino rifiuta per tutta la vita l’incarico, che tutti gli riconoscono, di magister del movimento; situazione che porterà a un drammatico scontro interno.
Con il crescere del numero di adepti, infatti, sempre più a gran voce vengono richieste istruzioni e regole. Gherardino rifiuta. Ognuno deve fare ciò che si sente.
Ma a qualcuno interessa la possibilità di prendere il potere: è tale Guido Putagio, che si auto elegge capo del movimento, rapisce Gherardino e lo porta con sé a Faenza, sperando che la presenza del fondatore sia sufficiente per vedersi riconoscere il ruolo che desidera. Ma gli interessi di Guido non coincidono con quelli di Gherardino e dei suoi fedeli più intimi. Pretende di guidare un movimento che predica la povertà girando a cavallo, ben vestito e con scorta di cavalieri armati. Una fronda di apostolici si ribella e si presenta a Faenza decisa a liberare il loro padre e fondatore.
Ne nasce uno scontro dal quale il Putagio esce sconfitto. Cerca rifugio proprio da Salimbene da Adam, che lo convince a espiare i suoi peccati entrando nell’ordine templare.
Dal 1260 e per circa quarant’anni, oltre al sequestro da parte del Putagio, Gherardino finisce almeno un paio di volte in carcere. Ogni volta però viene rilasciato su ordine del vescovo di Parma, Obizzo Sanvitali.
Il nostro cronista francescano non esita a rimproverare il vescovo nei suoi scritti: senza tanti giri di parole, lo accusa di avere simpatia per quell’uomo che “trattiene a corte come un buffone”. Fatto sta che le maglie dell’inquisizione non riescono mai a chiudersi definitivamente su Gherardino e i suoi apostoli, probabilmente proprio a causa della protezione del vescovo e nonostante le bolle papali che dichiaravano irregolare l’ordine, come già sancito dal concilio di Lione del 1274.
Ma nel 1299 da Roma arriva l’ordine di trasferimento. Il vescovo Sanvitali dovrà continuare il suo operato a Ravenna.
Nello stesso anno fra Guido da Vicenza, inquisitore della provincia di Lombardia e della Marca Genovese arriva a Parma, sostituendo di fatto il suo vicario, fra Leone, e iniziando una serie di processi verso tutti i sospettati di eresia apostolica.
Fra Gherardino viene catturato, interrogato e poi trasferito a Bologna dove, il 18 luglio, viene messo al rogo. Stessa sorte per i suoi più fedeli seguaci.
Sembra la fine del movimento apostolico. Ma pochi giorni dopo, sui portali delle chiese, da Trento a Ravenna; da Bologna a Parma, a Modena, viene trovata una lettera.
È firmata da tale Dolcino da Novara, che si dichiara erede di Gherardino e nuovo magister del movimento apostolico.
La svolta è radicale.
Dolcino scrive che la sua è una congregazione spirituale, legittima nel proprio vivere apostolico, mandata e scelta da Dio stesso con lo scopo di salvare le anime.
La fine del mondo è vicina, e solo chi si unirà a loro vedrà la salvezza.
Per tutti gli altri, chierici, vescovi, cardinali, frati Minori e Predicatori e tutti coloro che li perseguitano, la fine sarà una sola: la morte cruenta.
Inizia la vicenda dolciniana…
“Rondini d’inverno” è il decimo romanzo della serie del Commissario Ricciardi, fortunato personaggio nato dalla penna e dall’estro letterario di Maurizio De Giovanni. Stasera andrà in onda su Rai 1 l’ultima puntata della seconda stagione, tratta proprio da questo romanzo.
Lunedì 1 marzo si è conclusa la prima fortunatissima stagione de “Il commissario Ricciardi” su Rai 1. Sei puntate tratte da altrettanti romanzi scritti dall’autore napoletano Maurizio De Giovanni. Si è parlato tantissimo del grande successo avuto da questa serie TV con ascolti record (praticamente in ogni puntata quasi 6 milioni di telespettatori con il 25% di share). Thriller Storici e Dintorni ha avuto il piacere e l’onore di fare quattro chiacchiere con uno dei protagonisti più amati delle vicende: Adriano Falivene, che ha portato in scena il personaggio di “Bambinella”.
Ormai ci siamo! Questa sera, 4 marzo, avrà inizio la serie “Il nome della rosa” su Rai 1! Noi di TSD saremo sicuramente sul divano per guardarla, ma intanto concludiamo la serie di articoli di avvicinamento per capire meglio il contesto storico in cui si cala il capolavoro di Umberto Eco. Grazie a Fabio Cosio […]
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