A cura di Laura Pitzalis
Oggi 8 marzo si celebra la Giornata Internazionale della Donna. Badate bene non la Festa della donna, quindi niente festeggiamenti con mimose, che mi fanno venire mal di testa, né cioccolatini, per la gioia del mio nutrizionista! Voglio però celebrare questa ricorrenza parlandovi di quattro Donne (la maiuscola è d’obbligo), che appartengono alla Storia della Sardegna e che si sono affermate ricoprendo ruoli tradizionalmente maschili, in un periodo, il medioevo, dove si considerava la donna un essere inferiore, la cui unica posizione era quella di moglie, madre, contadina, artigiana e monaca.
Queste Donne sono: Elena di Gallura, Benedetta di Cagliari, Adelasia di Torres ed Eleonora D’Arborea.
Siamo tra il IX e il XV secolo e in Sardegna vigeva una particolare organizzazione governativa autonoma, unica in tutto il continente europeo e considerata da molti studiosi come il preludio agli Stati Nazionali che successivamente si sarebbero sviluppati in Europa: il Giudicato. La Sardegna medievale era infatti divisa in quattro regni del tutto indipendenti l’uno dagli altri, conosciuti come i quattro Giudicati di Torres, Gallura, Arborea e Cagliari, governati da un re chiamato Giudice.
La prima donna ad accedere a un trono sardo per proprio diritto e una delle prime in Europa fu Elena di Gallura.
Elena nacque a Civita (attuale Olbia), centro principale del regno, intorno al 1190. Alla morte di suo padre nel 1203, a soli tredici anni, salì sul trono giudicale con la reggenza della madre. Ci sono poche notizie documentate su di lei (molte di cronaca o popolari) e sulla sua breve vita: viene ricordata per il fatto di essere stata la prima donna sarda ad assumere il rango giudicale e per i tanti tentativi da parte dei pretendenti di assicurarsi la sua mano. Ad avere la meglio alla fine fu il fortunato nobile pisano Lamberto Visconti. A soli 28anni Elena morì,probabilmente di parto.
La seconda donna ad ereditare il trono per diritto nell’isola fu Benedetta di Cagliari, detta anche Benedetta di Massa (Santa Igia, 1194 – Massa, 1233)
Benedetta prestò giuramento nel 1214, all’età di vent’anni, e in quel medesimo anno, in luglio, sposò Barisone II di Arborea. I due sposi decisero di governare congiuntamente i rispettivi regni, facendo prevalere gli interessi locali su quelli pisani. Nel 1215 Lamberto Visconti, ormai vedovo di Elena di Gallura, per ripristinare l’influenza di Pisa , radunò un esercito e sbarcò alla volta del giudicato di Cagliari occupando la collina di Santa Gilla. La città fu da questo momento scossa dai tumulti tra sardi e pisani. Morto il primo marito Barisone, Benedetta nel tentativo di ripristinare la pace, sposò Lamberto. Ma gli scontri non cessarono e la Giudicessa, risposatasi successivamente altre due volte per cercare di difendersi dall’influenza pisana, fu costretta a rifugiarsi a Massa, dove morì nel 1233.
La fine fu tragica: Santa Igia, capitale del giudicato di Cagliari, venne rasa al suolo dai Pisani nel 1258. Il giudicato di Cagliari si estinse e la sua ultima e coraggiosa regina rimane ancora oggi l’emblema della forza delle donne di Sardegna.
Terza regnante in Sardegna fu Adelasia di Torres, sicuramente una delle Giudicesse più sfortunate.
Adelasia, figlia di Mariano, giudice di Torres, e di Agnese di Massa, nasce intorno al 1205. All’età di 12 anni, sposa il coetaneo Ubaldo, figlio di Lamberto Visconti e di Elena di Gallura. Salì al trono di Torres grazie all’appoggio del marito Ubaldo ( le donne non potevano ufficialmente governare da sole) a seguito della morte del fratello avvenuta durante una sommossa popolare. Alla morte di Ubaldo, Adelasia sposa il figlio dell’Imperatore Federico II, il principe Enzo, attraente e giovanissimo a confronto dell’ormai matura e trentunenne Giudicessa di Torres. Nella volontà di Federico II c’è il sogno di costituire una sorta di regno di Sardegna e per questo che Enzo e Adelasia si sposano assumendo il titolo di re e regina di Sardegna. Dopo l’abbandono del giovane sposo (che preferiva alla Sardegna la vivacità della penisola), Adelasia visse nel castello di Burgos. Gli ultimi anni della giudicessa sono avvolti nel mistero. Si sa per certo che nel 1255 è ancora sul trono, infatti papa Alessandro IV scrive quattro lettere ai giudici sardi e una è diretta a lei. Muore intorno al 1259 senza una discendenza e con lei muore anche il Giudicato di Torres.
Quarta, e più popolare, regnante in Sardegna fu Eleonora D’Arborea.
Nasce in Catalogna, più precisamente a Molins de Rei, nel 1347 circa.
Donna eccezionale e guerriera in un Medioevo dominato dagli uomini, (Carlo Cattaneo la definì “la figura di donna più splendida che abbiano le storie italiane”), Eleonora dimostrò doti politiche e strategiche molto alte: non solo governò il suo “Logu” (giudicato), ma coltivò l’idea di unire tutta la Sardegna sotto una dinastia locale, in un’epoca ,fine 1300, in cui l’isola era sotto l’influenza degli Aragonesi. La tempra di Eleonora venne saggiata più volte, in un intreccio di lotte per il governo e tattiche di corte volte a ottenere il consenso del sovrano d’Aragona e della sua consorte finché, per uscire dall’impasse, si autoproclamò giudicessa del Giudicato di Arborea. Con lei al comando, le terre un tempo governate dal padre vennero riunificate e vide la luce la punta di diamante della legislazione sarda: la nuova versione della Carta De Logu, codice di leggi unico nel suo tempo e ancora oggi di una modernità impressionante. Alcuni articoli erano dedicati alla tutela delle donne e affrontavano delicatamente il tema dello stupro, come il diritto alla donna violentata di evitare le nozze riparatrici:
“Vogliamo, ed ordiniamo, che, se alcun uomo levasse per forza donna maritata, ovvero alcun’altra donna, che fosse giurata, o spulzellasse alcuna vergine per forza, e di dette cause fosse legittimamente convinto, sia giudicato, che paghi per la maritata lire cinquecento; e se non paga fra giorni quindici, dacché sarà giudicato, siagli tagliato un piede, per modo che lo perda: e per la nubile sia giudicato, che paghi lire dugento, e sia anco tenuto di pigliarla per moglie, s’è senza marito, e piaccia alla donna; e se non la piglia per moglie, sia anco tenuto di maritarla, secondo la condizione della donna, e la qualità dell’uomo; e se quelle cos’egli non può fare a giorni quindici, dacché sarà giudicato, siagli tagliato un piede, per modo che lo perda: e per la vergine paghi la simil pena, e se non ha da dove pagar e, taglingli un piede, come sopra”.
Eleonora non riuscì a realizzare il suo progetto di riunire sotto di sé la sua Sardegna: la peste se la portò via e consegnò l’isola agli stranieri. Tuttavia il suo gioiello la “Carta de Logu” sopravisse per 400 anni.
Per quanto la sua figura sia oggi ricordata e innalzata spesso a simbolo dell’emancipazione femminile, di Eleonora d’Arborea non esiste un ritratto certo. Esistono alcune raffigurazioni ma sono tutte di fantasia: in altre parole non conosciamo i lineamenti del suo volto e neppure la sua fisicità. Presso il Palazzo Campus Colonna di Oristano esiste un dipinto che raffigura la giudicessa proprio nell’atto di scrivere la famosa Carta; si tratta, tuttavia, di un lavoro ottocentesco ricavato a sua volta da una fonte seicentesca che, recentemente, è stato appurato ritraesse Giovanna di Castiglia e Aragona.
FONTI:
https://www.mondimedievali.net/Edifici/Sardegna/storia.htm
“Donne che comandano” articolo di Alba Marini – S&H Magazine – Marzo 2019
4 donne di cui nullasi sa, perlomeno non tra la gente non sarda o tra addetti ai lavori. È stata una lettura così interessante, questo articolo, da farmi incuriosire e voler sapere di più della storia della Sardegna, dei Giudicati e della Carta de logu, che mi è sembrata di una modernità rara. Il taglio del piede agli stupratori e la possibilità data alla donna di rifiutare il matrimonio riparatore è un concetto giuridico all’avangiardia sui tempi in modo straordinario. Brava Laura, ottimo articolo.