Verso “Il nome della rosa” – la serie #3 – Il papato in Francia
Ormai ci siamo! Questa sera, 4 marzo, avrà inizio la serie “Il nome della rosa” su Rai 1! Noi di TSD saremo sicuramente sul divano per guardarla, ma intanto concludiamo la serie di articoli di avvicinamento per capire meglio il contesto storico in cui si cala il capolavoro di Umberto Eco. Grazie a Fabio Cosio per averci accompagnati con le sue parole!
Il Papa Santo e la grande delusione
Sempre sulla base delle profezie di Gioacchino da Fiore cresce l’attesa della venuta di una nuova Chiesa rappresentata da un Papa santo.
Attesa che diventa confusione quando, alla morte di Niccolò IV (4 aprile 1292), i cardinali non riescono a trovare un accordo sul suo successore.
Gli elettori sono divisi equamente tra le famiglie Orsini (filo-francesi) e Colonna (filo-aragonesi). Le votazioni si susseguono senza successo in quella che è stata una delle ultime elezioni papali senza un conclave (cioè con i cardinali chiusi cum-clave fino alla scelta).
In estate la peste colpisce Roma, uccidendo uno dei cardinali. Gli altri scappano, allontanandosi dalla città.
Si riuniranno nuovamente solo nell’autunno del 1293 a Perugia, continuando a non trovare una soluzione. I francesi scalpitano, Carlo d’Angiò raggiunge la sede dell’elezione per fare pressioni.
Alla fine, nell’estate 1294 (due anni dopo la morte di Niccolò), per risolvere lo stallo viene fatto il nome di un eremita, Pietro da Morrone (quello del pellegrinaggio fino a Lione).
L’idea è quella di eleggere qualcuno completamente fuori dai giochi di potere in modo che nessuno possa rifiutare. Viene trovato così l’accordo. Pietro da Morrone, raggiunto da una delegazione nella grotta in cui conduce vita eremitica, si rifiuta. Non si sente in grado. Dopo estenuanti discussioni si convince e scende dalla montagna. Chiede e ottiene di essere incoronato a L’Aquila, tra i suoi fedeli, con il nome di Celestino V.
La voce si sparge rapidamente per tutta la cristianità. Finalmente un Papa santo! È un periodo di grande speranza. Celestino V incontra il favore anche dei gruppi più ostili alla Chiesa, è visto come il rinnovamento che da tempo ormai immemore veniva richiesto anche dai più estremisti.
Celestino accoglie i frati francescani spirituali e li invita a unirsi ai suoi frati majellani, che da quel momento iniziano a chiamarsi Celestini. Li autorizza a vivere nella più assoluta povertà come da tempo chiedevano rimettendosi alla regola di San Francesco.
Celestino però non è avvezzo ai giochi di potere. Carlo d’Angiò lo invita a stare a Napoli perché Roma ancora non è sicura e lui accetta, non rendendosi conto di essere sostanzialmente in ostaggio. I cardinali lo raggiungono e iniziano a sollecitarlo, cercando di tirarlo ognuno dalla propria parte.
Celestino è confuso, non è avvezzo a quel clima dopo anni passati in solitudine in una grotta. Si affida a un cardinale prodigo di consigli, tal Benedetto Caetani, inconsapevole di aver messo la sua vita nelle mani di una serpe, al punto che (pare) il cardinal Caetani avesse fatto scavare un buco nel muro della stanza di Celestino e che la notte andasse a parlare nel foro fingendosi l’arcangelo Gabriele, suggerendo al Papa di abdicare, di rendersi conto di non esser degno.
Alla fine Celestino cede. Proprio Caetani, in quanto esperto giurista, certifica i documenti che lo autorizzano ad abbandonare il suo incarico.
Sarà il “gran rifiuto” che Dante renderà immortale, disegnando in due parole la delusione e l’amarezza per tutti i fedeli che avevano riposto tutte le loro speranze.
Pietro da Morrone cercherà di tornare nella sua grotta ma non vi arriverà mai. Benedetto Caetani infatti diventa il suo successore in un conclave rapidissimo tenuto a Napoli, salendo al soglio pontificio con il nome di Bonifacio VIII.
Ufficialmente per evitare che due pontefici potessero generare confusione, fa imprigionare Pietro in uno dei suoi castelli, a Fumone, dove morirà poco dopo. Per secoli si discuterà sulla morte di Celestino o sulla sua eventuale uccisione, visto che il cranio presentava un foro compatibile con un colpo con un corpo contundente. Gli ultimi studi sono però propensi a credere che la morte sia stata naturale e il foro causato da un ascesso celebrale.
Bonifacio VIII si dimostra l’esatto contrario del suo predecessore (Dante infatti lo piazzerà nell’Inferno). La sua visione della Chiesa è di potere assoluto. Il Papa è superiore anche ai re e agli imperatori.
Per lui il concetto di povertà della Chiesa è inaccettabile. Smantella così la comunità dei celestini, invitando i francescani spirituali a rientrare sotto il loro ordine accettandolo così com’è. Lo scisma è alle porte. Alcuni frati si allontanano dal concetto di obbedienza alla chiesa che Francesco aveva tanto raccomandato: nascono così i fraticelli, la cui predicazione si avvicina molto a quella dei gruppi considerati eretici.
La delusione per quanto accaduto con Celestino riaccende i focolai, trovando la reazione di un Papa autoritario come Bonifacio, che invita l’inquisizione a procedere con maggiore solerzia.
Bonifacio si scontra brutalmente anche con il re di Francia, Filippo il Bello.
Filippo infatti è ai ferri corti con l’Inghilterra (i prodromi della Guerra dei cent’anni di cui si è già parlato sul gruppo TSD), ha bisogno di soldi per pagare l’esercito e inizia a tassare anche gli ecclesiastici. Bonifacio lo minaccia di scomunica, Filippo allora lascia i soldi alla Chiesa ma vieta di far uscire denaro dai confini francesi, bloccando di fatto il flusso economico verso Roma.
È solo l’inizio di uno scontro che durerà anni e vedrà il re di Francia, alleato con la famiglia Colonna, inviare suoi uomini a Roma per arrestare e processare Bonifacio.
Bonifacio verrà sequestrato nella propria casa dal cancelliere francese Nogaret e da Sciarra Colonna, nell’episodio che diverrà famoso come “lo schiaffo di Anagni” da cui Benedetto Caetani non si riprenderà, morendo poco dopo il suo rientro a Roma.
L’aggressività francese incute timore nei cardinali. Si elegge a papa Benedetto XI. Filippo il Bello insiste per un processo postumo di Bonifacio accusato di stregoneria, sodomia, simonia e qualsiasi altra accusa plausibile per l’epoca.
Benedetto XI è titubante, prende tempo ma pochi mesi dopo muore misteriosamente, si dice avvelenato (anche se gli storici moderni sono inclini a pensare che si sia trattato di una banale indigestione di fichi).
La Chiesa in Francia
Sarà l’ultimo Papa di Roma. Il suo successore infatti sarà il francese Bertrand de Got, con il nome pontificale di Clemente V. Papa Clemente, adducendo a scusa la situazione tumultuosa a Roma, sposterà la sede papale in Francia.
Nel tentativo di non essere completamente sottomesso a Filippo il Bello stabilirà la curia a Carpentras, in un feudo non soggetto al controllo diretto della Corona.
La sua posizione comunque è debole. Le casse vaticane sono state svuotate alla morte di Bonifacio e in più di una situazione si trova a dover accontentare le richieste reali, così come accadrà con la soppressione dell’ordine dei Templari.
Alla morte di Clemente V la curia è ormai prevalentemente francese (solo 6 sono gli italiani). Viene eletto Papa Jacques d’Euse, che assume il nome di Giovanni XXII.
Soprannominato il Papa banchiere, sposta la sede papale ad Avignone.
Di famiglia nobile e amante dell’arte e del lusso, decide di risanare le casse della Chiesa e di costruire grandi palazzi per la curia. Aumenta i benefici, le tasse, cerca entrate in tutti i modi possibili arrivando al punto di redarre il libro Tasse della cancelleria apostolica e della sacra penitenzieria, un vero e proprio listino prezzi del perdono, che di fatto concedeva qualsiasi cosa. Tutto ha un prezzo ben regolamentato e normato, anche l’assoluzione per l’omicidio dei bambini e per lo stupro delle vergini.
Ovvio che per un pontefice simile, la questione della povertà richiedeva una soluzione radicale. I francescani, nel tentativo di tenere unito l’ordine, si erano riuniti in un capitolo generale in cui avevano confermato la regola basata sull’esempio di Cristo e i suoi apostoli, che nulla possedevano.
Un escamotage per le proprietà francescane era stato trovato da papa Niccolò III nel 1279 con la bolla Exiit qui seminat. In pratica ogni donazione fatta ai francescani era in realtà di proprietà della Santa Sede e l’ordine di Francesco ne usufruiva soltanto, ma senza esserne proprietario.
Giovanni XXII dichiarò eretica la conclusione del capitolo (così come aveva già fatto l’inquisizione) obbligando i francescani a ritirarla e annullando la bolla del suo predecessore Niccolò, trasformando istantaneamente i francescani in proprietari dei loro beni, sconfessandoli giuridicamente.
Molti decisero di seguire quanto dettato dal Papa, chi per timore, chi per rispetto della regola di obbedienza al pontefice di San Francesco.
Altri cercarono di mantenere aperta la discussione, tra cui il ministro generale dell’ordine, Michele da Cesena, che venne quindi invitato dal Papa a discuterne di fronte a lui, ad Avignone.
Qui subentra Il nome della rosa, immaginando un ipotetico incontro preparatore tra i francescani di Michele e gli inviati del Papa.
Quindi lasciamo la parola a Umberto Eco:
“Che poi quanto avrei visto all’abbazia mi avrebbe fatto pensare che spesso sono gli inquisitori a creare gli eretici. E non solo nel senso che se li figurano quando non ci sono, ma che reprimono con tanta veemenza la tabe eretica da spingere molti a farsene partecipi, in odio a loro. Davvero, un circolo immaginato dal demonio, che Dio ci salvi.”