I segreti dei Templari – La vita dopo la fine
Eccoci giunti al quarto e ultimo appuntamento della nostra rubrica, molto seguita, “I segreti dei Templari” a cura di Luigi Nardi. Oggi l’autore affronta un argomento su cui a lungo si è discusso e si discute ancora: la loro fine, o meglio, la vita dopo l’estinzione dell’ordine.
Se avete iniziato a seguirci solo ora, di seguito trovate i link diretti alle altre puntate:
I segreti dei Templari – le regole di ammissione all’Ordine
I segreti dei Templari – Massimo splendore e massima rovina
I segreti dei Templari – Il processo
“Sono un Templare, e sono qui per portare a termine la vendetta di Jacques de Molay”.
Con queste parole il boia Charles-Henri Sanson si presentò a un Luigi XVI impietrito, con il collo sulla ghigliottina, nella fredda mattina parigina del 21 gennaio 1793.
O, perlomeno, questo è ciò che tramanda una delle tante leggende templari e che, come scrive Enzo Valentini nel suo articolo apparso nello speciale La vera storia dei Templari (BBC History Magazine, gennaio 2016) sancirebbe la sopravvivenza dell’ordine anche dopo lo scioglimento avvenuto nel 1314. E non solo: approverebbe anche il mito della maledizione lanciata dal Gran Maestro in punto di morte, secondo cui i suoi assassini avrebbero trovato presto una fine ingloriosa e la loro stirpe si sarebbe estinta contrariamene a quanto previsto, ossia una genia eterna.
Vero è che Filippo IV, re di Francia e primo aguzzino dei Templari, perì in seguito a una tutt’altro che nobile caduta da cavallo durante una battuta di caccia (causata, presumibilmente, da un ictus), otto mesi dopo il rogo di de Molay; vero è che Clemente V, il pontefice autore della bolla Pastoralis praeminentiae che condannò l’intero ordine alla rovina, venne trafitto da un tumore allo stomaco, probabile conseguenza di una poco retta condotta alimentare, e si spense ad appena un mese di distanza dalla caduta del Gran Maestro; infine vero è anche che la testa mozzata di Luigi XVI, nel suddetto patibolo di Parigi, fu l’ultima testa coronata della dinastia dei Capetingi, la stessa di Filippo IV.
Forse non altrettanto veri potrebbero essere natura e sussurro del giustiziere Sanson, tuttavia le altre citate verità difficilmente possono essere opinabili.
La convinzione che l’ordine dei Templari sopravvisse al processo è un luogo comune a quasi tutti gli storici. Come ricorda lo studioso Martin Bauer nel suo saggio Il mistero dei Templari, i Nuovi Templari francesi avanzavano la pretesa di essere gli unici legittimi successori della confraternita, basandosi sulla Charta Transmissionis, un documento datato 13 febbraio 1324 e che, sostanzialmente, conferma il contenuto di verità in merito alla leggenda sulla fuga in Scozia dei Templari sfuggiti al processo.
Secondo la Charta questi ultimi avrebbero dovuto essere considerati traditori, conferendo eredità legittima ai confratelli rimasti coraggiosamente in Francia.
Il Gran Maestro Jean Marc Larmenius, diretto successore di Giacomo di Molay, afferma in tale documento di sentirsi ormai vecchio e di voler trasmettere la carica a un suo fratello più giovane ed esclude espressamente, nel passaggio di testimone, i cavalieri che fuggirono in Scozia e quelli di San Giovanni.
La lettera di Larmenius fu sottoscritta per secoli da tutti i Gran Maestri dell’ordine, fino a Bernardo Raimondo Fabré-Palaprat che fu capo dei Templari al momento della loro rinascita, il 4 novembre 1804.
Lo scrittore Gérard de Sède ricostruisce l’evento della prima uscita in pubblico del nuovo ordine. Il 18 marzo 1808, scrive de Sède, un grande traffico di persone si animava nella chiesa di Saint Paul a Parigi, le cui pareti erano state drappeggiate di tessuti bianchi con croci rosse. Nel coro sedevano uomini con mantelli di pelliccia sulla cui spalla spiccava una croce rossa. Uno di loro superava in splendore tutti gli altri: Bernardo Raimondo Fabré-Palaprat, successore dell’apostolo Giovanni, patriarca e Gran Maestro dell’Ordre du Temple, impugnava con una mano scettro e con l’altra una spada con un rubino incastonato nell’elsa.
Tale Bernardo Raimondo Fabré-Palaprat era stato fino a pochi anni prima un umile callista dei Pirenei, fondatore di un gruppo di invasati denominato Associazione dell’arrosto. Quando Radix di Chevillon, portavoce del gruppo, comunicò al mondo che l’ordine dei Templari avrebbe continuato a vivere nella forma dell’Associazione dell’arrosto, la farsa proseguì in modo grandioso: Fabré-Palaprat diede un nome serio all’organizzazione, chiamandola Ordre du Temple, ne assunse la guida e si procurò reliquie che avrebbero dovuto legittimarla, ossia la citata Charta Transmissionis, un vessillo bianco e nero, elmo e spada e, si suppone, perfino alcune ossa di Giacomo di Molay.
In breve tempo, quello che sembrava uno scherzo diventò una fiorente attività. L’ordine vendeva attestati da cavaliere, distintivi, titoli, medaglie e insegne che nella Francia rivoluzionaria erano molto richiesti. Anche se non si è in grado di stimare il valore economico degli affari, è dato di fatto che la neonata organizzazione racimolò sufficienti fondi a permetterle di prosperare fino ai nostri giorni, tanto che la cerimonia di adesione all’ordine da parte di Don Jaime de Mora y Aragon, fratello della regna del Belgio, avvenuta nel 1960, fu pubblicamente documentata da diversi giornalisti!
Ancora Bauer rammenta che esiste anche una versione della Regola risalente al 1705, così come era stata redatta dal Consiglio riunitosi presumibilmente a Versailles lo stesso anno.
Il regolamento rispecchia il fatto che nel frattempo l’ordine aveva dovuto rinunciare alla benedizione della Chiesa ed era composto da laici, ma nonostante ciò vi erano nuove reclute che, come riporta Hartwig Sippel, prestavano ugualmente giuramento sottomettendosi alle regole del loro santo padre Bernardo e di volersi attenere agli antichi dettami, ovvero proteggere i pellegrini e combattere contro gli infedeli.
Sempre secondo Sippel, questo nuovo Ordre du Temple (così come lo aveva definito la Charta Transmissionis) non era paragonabile all’antica confraternita ma era piuttosto un’organizzazione di mutuo soccorso per i Fratelli perseguitati, organizzazione che nel corso degli anni si era trasformata in una società segreta protetta da famiglie importanti e che, nel bene e nel male, era riuscita ad avere un’influenza notevole nella politica francese.
Sia la Charta Transmissionis che l’Ordo novi Templi, fondato nel 1900, sono per molti storici solo una grossolana invenzione. Ancora oggi diversi raggruppamenti che si autodefiniscono eredi dell’ordine nascono e si sciolgono ripetutamente: l’Ordine Sovrano dei cavalieri Templari di Gerusalemme, l’Ordo Militiae Crucis Templi, l’Ordine dei Signori della Croce di Montfort o Collegio di Giacomo di Molay. Tutte associazioni che si prefiggono scopi lodevoli come alleviare la povertà o promuovere l’intesa tra i popoli, ma che in realtà sono costantemente in lotta per primeggiare quale unica erede dei Templari.
A partire dalla seconda metà del XVIII secolo circolarono diverse storie circa una fuga dei Templari in Scozia. Pare che uno di essi, tale Pietro Aumount, abbia ricevuto dall’imprigionato Jacques de Molay l’incarico di mandare avanti l’ordine in qualsiasi circostanza. Travestito da muratore, Aumount sarebbe fuggito con dieci fedelissimi in Scozia attraverso l’Irlanda, rifugiandosi presso i fratelli locali, e il Consiglio riunito nel 1312 lo avrebbe scelto come Gran Maestro.
Si suppone che in ricordo della rischiosa fuga, i fratelli avessero deciso di adottare usi e costumi dei muratori.
Il dubbio esiste e nasce dalla convinzione di qualcuno che la scelta di travestirsi da muratori non fosse altro che un’invenzione nell’ambito della massoneria scozzese.
L’accostamento “massoneria-templare” si intravede, in effetti, nell’Europa del ‘700, quando le logge massoniche, a seguito della loro notevole crescita, decisero si attribuirsi un passato glorioso: propugnarono l’esistenza di un filo conduttore che, attraverso i secoli, avrebbe legato gli ambienti cavallereschi (crociati e templari su tutti) alla massoneria settecentesca.
Il pensiero di un importante massone scozzese, Andrew Michael Ramsay (1696-1743), fu eloquente in tal senso: egli affermò nel 1737 che le Crociate in Terrasanta, cui avrebbe partecipato anche la cosiddetta loggia scozzese, erano state il bacino storico dove si sarebbe sviluppato l’insieme di leggi, codici e segnali segreti alla base dei rapporti massonici.
Sulla scia delle teorie di Ramsey le confraternite europee trovarono sorgenti impareggiabili: la massoneria francese lavorò su una propria plurimillenaria storia; quella tedesca, in virtù dell’occupazione del Tempio di Salomone da parte dell’ordine, definì i Templari custodi di conoscenze mistiche ed esoteriche, perfino magiche, assegnandosi di conseguenza il diritto di esserne essa stessa depositaria. Per quanto non esistano, come detto, prove certe sugli episodi, c’è tuttavia una sorta di documentazione che attesta che i Templari furono all’origine della nascita della massoneria scozzese.
Intorno alla metà del XVIII secolo il barone Karl Gotthelf von Hund tentò di introdurre un nuovo regime della Massoneria, “stretta osservanza”, un proseguimento del “rito scozzese”. Egli sosteneva di essere stato incaricato da superiori, peraltro sconosciuti, e comprovò l’incarico con un documento piuttosto singolare, ovvero un elenco di tutti i Gran Maestri. Tale elenco si discosta da quello che la storiografia ufficiale ritiene valido, ma alcuni giudicano quello fornito dal barone il più attendibile, cosa che dovrebbe in conclusione dimostrare la verità sulla tesi di una sopravvivenza della confraternita in Scozia.
Tra coloro che sostengono von Hund ci sono gli storici Michael Baigent, Henry Lincoln e Richard Leigh che, al riguardo, cercarono prove procedendo in modo sistematico, analizzando tutte le vie di fuga che avrebbero potuto avere i Templari nel 1307, e dopo averle esaminate le respinsero tutte ad eccezione di quella verso la Scozia.
Erano sostanzialmente tre le regioni che offrivano all’ordine qualche possibilità di sopravvivenza: il mondo islamico, la Scandinavia e la Scozia.
La prima ipotesi viene categoricamente esclusa poiché, contrariamente a ogni calunnia, i Templari non si legarono mai ai Musulmani né avrebbero avuto interesse a chiedere asilo ai loro nemici (d’altro canto nessun principe islamico glielo avrebbe concesso).
Tra i paesi scandinavi la Norvegia, allora scarsamente popolata, avrebbe potuto offrire condizioni favorevoli a un clandestino insediamento, ma a breve distanza dal luogo sorgeva la Scozia, sufficientemente sicura e dove già prosperavano commende dell’ordine poiché la Bolla papale che condannava la confraternita allo scioglimento in Scozia non fu mai resa nota.
Secondo Baigent, Lincoln e Leigh, il Tempio avrebbe potuto godere di amicizie influenti perché Robert Bruce, il pretendente scomunicato alla corona scozzese, aveva urgente bisogno di aiuto militare nella lotta contro l’Inghilterra.
Gli studiosi tentarono perfino di ricostruire con precisione il percorso della flotta dei Templari, affermando che fece rotta a ovest intorno all’Irlanda, dove probabilmente raccolse altri fratelli in fuga, armi e rifornimenti.
È fuori discussione che l’intera classe dirigente scozzese prestò soccorso ai fuggiaschi: accordi segreti, camuffamenti e manipolazioni, avrebbero reso possibile che i possedimenti dell’ordine in Scozia non venissero toccati e che almeno per un periodo fossero amministrati da Templari “laicizzati”. Più tardi, presunti rappresentanti non ufficiali, continuarono a gestire le risorse in qualità di fiduciari, come se dovessero restituirle prima o poi ai legittimi proprietari. Questi fiduciari provenivano da poche grandi famiglie che, secondo gli studiosi, conservarono anche l’eredità culturale dei confratelli e, in seguito, fondarono perfino un’organizzazione militare che ne seguì l’esempio, la Guardia Scozzese. Di fronte a una presa di posizione così decisa i successori designati, gli Ospedalieri, non avrebbero fatto nulla per rivendicare i loro leciti diritti.
Il ricercatore Andrew Sinclair ritiene che i feudi scozzesi dei Templari sarebbero passati per la maggior parte nelle mani dei Cavalieri di San Giacomo, cosa che non avrebbe cambiato nulla dato che i fuggitivi si erano nascosti proprio presso i suddetti Cavalieri. Un “bluff” di etichetta necessario perché Robert Bruce, volendo coprirsi le spalle nella guerra contro gli inglesi, avrebbe dovuto eseguire, almeno in apparenza, l’ordine papale e sciogliere i Templari!
La mancanza di prove tangibili, tuttavia, spinse gli studiosi a un impegno notevole per dimostrare le loro tesi.
Sempre Sinclair sostiene che il Gran Maestro dopo il 1307, Guglielmo di Saint Clair fosse il diretto predecessore di Bruce.
Baigent, Lincoln e Leigh ritengono di aver trovato cimiteri templari in Scozia che documenterebbero un legame tra il Tempio e la Massoneria. Nell’Argyllshire, lungo la costa sud occidentale, sorgerebbero tombe risalenti al XIII secolo (ma anche una recente del XVIII secolo) in cui le pietre con connotazione etniche mostrerebbero motivi dei Templari, così come se ne possono trovare in diverse Chiese dell’ordine in Gran Bretagna. Su quelle successive, poi, si mischiano simboli templari con simboli massoni, il che dimostra il passaggio di testimoni dai primi ai secondi.
Per due volte i cavalieri spariti nella clandestinità sembrano ricomparire: una prima volta nella battaglia di Bannockburn, nel 1314, tre mesi dopo la morte di Giacomo di Molay, dove Robert Bruce, autoproclamatosi re di Scozia, piegò Edorardo II re d’Inghilterra. Una battaglia nata sotto i peggiori auspici per gli scozzesi, inferiori di numero e privi di cavalleria pesante, ma che, ricorda Sinclair, ebbe estio sorprendente grazie a un corpo di riserva scozzese tenuto fino a quel momento nascosto nelle retrovie: un’orda di cavalieri sarebbe improvvisamente piombata sugli inglesi, attaccando gli arcieri e costringendo alla ritirata Edorardo II con i suoi cinquecento cavalieri. Ebbene, alcuni di questi ultimi cavalieri affermarono di aver riconosciuto nella compagine inaspettata il vessillo bianco e nero di Beauceant, la bandiera dei Templari.
Dopo la vittoria, storica per la libertà scozzese, questa cavalleria fantasma scomparve senza lasciare traccia e solo trecento anni più tardi si trova prova della sua sopravvivenza, il 27 luglio 1689, nell’ambito della Gloriosa rivoluzione quando ebbe luogo una battaglia in cui irlandesi e scozzesi presero le armi contro la dinastia regnante in Gran Bretagna: gli Orange. Come riporta la storica Monika Hauf, il capo dei ribelli perse la vita in combattimento contro l’Inghilterra e quando fu spogliato si trovò sul suo corpo una croce templare.
È impossibile sincerarsi di tutto ciò che ruota attorno ai Templari. Citando Umberto Eco che, ne Il pendolo di Foucault, scrive “I templari c’entrano sempre”, si può aprire la mente al meraviglioso romanticismo della fantasia, lasciarsi travolgere dal mistero, perfino convincersi di vivere in un mondo abitato da tutt’altro che meri spettri con la croce rossa, e quando ci si bagna di realtà appurando che l’ordine dei Cavalieri Templari finì tragicamente con il rogo di Giacomo di Molay e con la confisca di ogni sua proprietà, ci si sente in un certo qual modo depauperati.
Allora sboccia il bisogno di crederci ancora, l’esigenza di perpetuare il mito, di contribuire renderlo ancora vivo, generando supposizioni e teorie circa la sua sopravvivenza.
Tutto questo è stato possibile perché l’ordine riuniva in sé alcune caratteristiche in grado di accendere la curiosità delle masse: la combinazione assolutamente innovativa di cavaliere e monaco, il disprezzo per la morte e la quasi inesauribile ricchezza, oltre al fatto che i fratelli si mostrassero superbi e arroganti all’esterno, separati dal resto del mondo e convinti di appartenere a una casta privilegiata.
I Templari non tentarono mai di correggere alcuna credenza popolare, il più delle volte pareva godessero di quest’aura di mistero che li circondava. Perfino i capi superiori dell’ordine, i Papi, pensavano che nelle commende avvenissero le cose più strane e singolari, e pare che Papa Innocenzo III, nel 1208, li avesse “richiamati all’ordine per comportamenti poco cristiani”, e “aveva apertamente parlato di esorcizzazione degli spiriti” (Lincoln, Baigent e Leigh).
Di certo tutti i francesi sospettavano da tempo che i Templari praticassero eresia, omosessualità e stregoneria, tanto che l’accusa parve solo la dimostrazione definitiva della colpa, mentre l’opinione di altri Stati la definiva solo una farsa, ma per quanto diverse fossero state le reazione immediate all’annientamento dell’ordine, sta di fatto che alla fine del XIV secolo ci si era comunque dimenticati di ogni cosa, dalle condanne al rogo. Fino ai tempi della Riforma la fine del Tempio non rappresentò che un’oscura nota a piè pagina della storia delle Crociate, e solo dopo si tornò a prestare sempre più attenzione al destino dei Poveri Fratelli. Con l’Illuminismo e nel XX secolo, esso divenne carico di fascino.
Secondo Martin Bauer, il “mito” deve la sua fortuna al fatto che l’ordine, a differenza di molti altri, avesse avuto una fine rapida e tragica, accompagnata da interrogativi mai chiariti. Nessun Ospedaliere, ad esempio, venne mai bruciato sul rogo, né fu mai vittima di un intrigo politico. Inoltre, l’ordine di San Giovanni è tuttora attivo, e su queste basi non ci costruiscono leggende!
“Tutto il cumulo di segreti dei Templari li portò a morire e a una seconda vita. Nella testa e nel cuore della gente, essi vivono ancora” (Bauer).