Il blog TSD è davvero onorato di ospitare nel suo salottino virtuale Maurizio De Giovanni per questa intervista!
Maurizio ti ringraziamo per aver accolto la nostra richiesta e per essere oggi qui con noi, grazie per il tempo che ci dedicherai rispondendo alle nostre domande per i nostri affezionati lettori.
La tua bibliografia è davvero molto vasta, nel 2005 c’è stata quella potremmo definire “la svolta”? Com’è cambiata la tua vita da normale impiegato di banca a scrittore?
La mia vita è stata a dir poco rivoluzionata nel 2005. Quando ancora ero bancario (Direttore, non impiegato), io, che ero una mosca bianca in quell’ambiente (leggevo appena possibile e avevo sempre un libro tra le mani), fui iscritto dai miei colleghi, proprio a causa di questa mia “stranezza”, a un concorso per giallisti esordienti che inopinatamente vinsi.
Di qui la mia nuova vita, clamorosamente diversa dalla precedente, tanto che certe volte ho difficoltà a ricordare il mio recente passato (sono solo tre anni che mi sono licenziato).
Il commissario Ricciardi è nato durante un concorso, da un racconto “I vivi e i morti”. Come si è fatto strada in te, quanto Maurizio c’è in Ricciardi e viceversa?
Nell’eliminatoria del concorso di cui parlavo, che vinsi come vinsi la finale e che si tenne al Caffè Gambrinus, immaginai che il mio protagonista fosse in grado di vedere i morti di morte violenta. Così nacque Ricciardi, che non mi somiglia affatto, se non per la sua incapacità di non vedere il dolore degli altri, che probabilmente ci accomuna.
In realtà, io sono molto più somigliante a Maione, per la cubatura, per il suo spiccato senso di paternità e per la sua profonda empatia con la città.
La serie a lui dedicata è ambientata nella tua Napoli, ma negli anni ‘30. Perchè questa scelta? Vuole essere, forse un percorso che vorresti facesse il lettore per capire come siamo giunti all’oggi? o è stata una scelta del tutto casuale?
La scelta fu influenzata dall’ambiente in cui si svolse la fase eliminatoria: il Gambrinus è liberty e dunque mi evocò gli anni Trenta. Avrei potuto cambiare epoca nei libri successivi, ma ritenni di confermarla: allora non c’era ancora la polizia scientifica, e scrivere di un’epoca in cui i colpevoli venivano scoperti per le motivazioni che avevano condotto al crimine anziché per una impronta digitale è a me più congeniale.
Il commissario Ricciardi ha un “dono”, se così potremmo definirlo. Un dono e insieme una condanna, che dal fatidico giorno del “fatto”, come tu stesso definisci il momento da cui tutto ebbe inizio, cambia radicalmente la sua vita. Vuoi parlarci di come ti sei ispirato in questo senso?
Ricciardi è un uomo senza telecomando: come se fosse afflitto da un perenne dolore fisico che non gli consente di avere una vita normale.
È questo il fatto.
Volevo fosse una maledizione, non un aiuto a trovare i criminali. Infatti nei miei libri il fatto rischia sempre di sviare, e non conduce mai alla soluzione.
La serie, da te scritta e dedicata a Lojacono, “I bastardi di Pizzofalcone” da cui è stata tratta l’omonima serie tv, è relativamente più recente, come nascita. E’ ambientata nella Napoli contemporanea. Hai ambientato alcune scene anche nel tuo quartiere di origine? Senza scendere nell’ordinario hai dato vita a una serie di romanzi avvincenti e molto apprezzati e seguiti. Hai un ingrediente segreto? e come nascono le tue ispirazioni?
Ho cercato di raffigurare il maggior numero di quartieri e di realtà sociali. Volevo dare l’idea di questa città cipolla, che ha miriadi di strati e a seconda del livello a cui lo scrittore si ponga il racconto non potrà che essere diversissimo.
Nessun ingrediente segreto dunque, ma solo una grande disponibilità a raccogliere le storie che la città continuamente propone a chi le sappia ascoltare.
Dico sempre che a Napoli tutti quelli che sono disposti ad ascoltare possono scrivere, tranne gli analfabeti che però possono fare i neomelodici.
Sei uno degli sceneggiatori della serie tv, molto in voga, cosa hai provato a vedere i tuoi personaggi proiettati dalla tua fantasia alla carta e poi alla TV?
I linguaggi sono diversissimi.
Non bisogna mai dimenticarlo.
Lo dico anche a me stesso.
È vero che restiamo quasi sempre delusi dalle trasposizioni televisive e cinematografiche dei libri che abbiamo amato, ma dipende solo dal fatto che qualunque versione, ancorché magnifica, finisce per mortificare la fantasia di chi legge.
Ora raccontaci qualcosa di te, come è nato il desiderio di scrivere? Da lettore, ti sei ispirato a qualche scrittore del passato?
Come dicevo, sono un lettore bulimico e dunque tutto ciò che ho letto è finito inevitabilmente in quello che oggi scrivo.
Un solo modello, peraltro dichiarato: Ed McBain e i suoi romanzi dell’Ottantasettesimo Distretto.
Napoli è una città bellissima, densa di storia e monumenti che meritano una visita. Noi siamo un blog dedicato alla storia, che è la nostra passione. Consigliaci un luogo che merita, secondo il tuo punto di vista, assolutamente di essere visitato.
La città, così bella nella sua diversità.
Non indico un posto perché sarei senz’altro riduttivo.
Per me deve essere attraversata a piedi e “respirata”: dietro ogni angolo può nascondersi un tesoro.
Visto che siamo in una città che ha alle sue spalle una grandissima tradizione culinaria, consigliaci un piatto a cui non potremo resistere.
La genovese.
Aspettiamo il tuo prossimo lavoro con ansia, grazie per il tempo che ci hai dedicato rispondendo alle nostre domande, per noi è stato un grandissimo piacere.
Sara & Roberto