Interviste TSD

L’intervista di Tsd – Leonardo Gori

Buongiorno Leonardo e grazie per il tempo che vorrai dedicarci rispondendo alle nostre domande. Conosciamolo meglio… Leonardo Gori è nato nel 1957 e vive e lavora a Firenze. È autore del ciclo dei romanzi di Bruno Arcieri: prima capitano dei Carabinieri nell’Italia degli anni Trenta, poi ufficiale dei Servizi segreti nella seconda guerra mondiale e infine inquieto senior citizen negli anni Sessanta del Novecento. Il primo romanzo della serie è Nero di maggio, ambientato a Firenze nel 1938, cui sono seguiti Il passaggio, La finale, L’angelo del fango (Premio Scerbanenco 2005), Musica nera, Lo specchio nero, Il fiore d’oro (questi ultimi due scritti con Franco Cardini), Il ritorno del colonnello Arcieri (2015) e Non è tempo di morire (2016), L’ultima scelta (2018). La serie di romanzi è in corso di riedizione in TEA. È anche autore di fortunati thriller storici, fra cui il ciclo dei romanzi cinquecenteschi con Niccolò Machiavelli indagatore: Le ossa di Dio (Rizzoli, 2007), La città del sole nero (Rizzoli, 2008) e La città d’oro (Giunti, 2013). Leonardo Gori è coautore di importanti saggi sul fumetto e forme espressive correlate (illustrazione, cinema, disegno animato).

Parlaci un po’ di te, delle tue letture, dei tuoi generi preferiti. Ogni scrittore è anche un lettore, cos’è per te leggere e chi è l’autore, se ne hai uno, a cui ti sei ispirato?

La mia prima finestra sul mondo è stata un libro, all’età di cinque anni, più o meno. Non credo proprio di essere un’eccezione, ho sentito cento storie come la mia. All’inizio la lettura è stata una fuga da varie prigioni, reali e interiori. Poi il contrario: il libro si è rivelato il modo migliore per conoscere e affrontare la realtà. Ho sempre letto in modo disordinato, incoerente, probabilmente a volte riprovevole. Di certe letture mi vergogno. Ho letto tantissimi saggi storici, e continuo a farlo; i grandi classici fondamentali; tanti romanzieri italiani del Novecento; un mare di fumetti; e poi romanzi polizieschi, gialli e noir, di tutto. Fra questi, ho scoperto alcuni autori che usavano il genere, ma erano scrittori-scrittori. Simenon, ovviamente, ma anche Le Carrè, che mi ha fatto amare i temi dello spionaggio. Ecco, Le Carrè è senz’altro fra i miei ispiratori diretti, insieme a Bassani e Pratolini.

Quando hai iniziato ad appassionarti alla storia? E qual è il periodo che prediligi?

Leggo saggi storici da sempre, o perlomeno da quando ho scoperto che l’insegnamento scolastico era solo un’infarinatura senza grazia né garbo. Cos’è la Storia? Un racconto lunghissimo e crudele, magari falso, ma sempre appassionante. Invece, quando alla fine di un ciclo scolastico lasciavi l’Impero Romano all’apice del suo splendore, l’anno dopo si ripartiva dai Comuni, e io ci rimanevo male. Scherziamo? Cos’era successo, nel frattempo? E poi, alla fine delle scuole medie, ti mollavano alle soglie della Prima Guerra Mondiale (io sono del ‘57), ma tutti, in casa e per strada, parlavano di Mussolini e di Hitler. E allora ho fatto da me, leggendo libri, ma il più delle volte fumetti d’epoca, vecchie riviste, diari, eccetera. Da quanto detto, si capirà che le mie preferenze vanno ai periodi di grande crisi, di svolta: la fine dell’Impero Romano, i “secoli bui”, il Rinascimento ma soprattutto il Novecento, la contemporaneità.

Leonardo, hai delle piccole manie legate al momento della scrittura e della ricerca per i tuoi romanzi?

La ricerca è forsennata e bulimica, soprattutto perché mi diverto un sacco a farla, a girare per librerie e bancarelle, a scavare nelle biblioteche. Poi nel romanzo passa molto poco, ma così dev’essere, perché è importante cogliere l’aria del periodo, ma contano di più la storia, i personaggi, le emozioni.

Il lavoro della scrittura è fatto di tanti rituali scaramantici, che nel mio caso servono ad allontanare l’ansia della “pagina vuota”: i libri di riferimento impilati sulla scrivania, a fianco del computer; Google Maps sempre aperto, e così tutti i file di appunti; il silenzio quasi assoluto delle sei di mattina.

Nel 2000 hai esordito con il romanzo “Nero di Maggio” che apre la serie dedicata al capitano dei carabinieri, Bruno Arcieri. Com’è nato questo personaggio e, per l’ambientazione, quanto tempo hai impiegato in termini di studio e ricerca?

“Nero di Maggio”, che è di nuovo in libreria per TEA, in una versione un po’ rivista e con un inedito in appendice, è nato vent’anni fa senza Bruno Arcieri. Mi spiego: all’epoca mi interessava soprattutto la storia macabra e affascinante della visita di Hitler a Firenze, e volevo intrecciarci una storia mia, giocando fra realtà e finzione. Ho sempre adorato gli anni Trenta, decennio di dittature, di guerre, di ingiustizie ma con uno stile inimitabile: cinema, letteratura, abiti, musica, automobili… Passai vari indimenticabili mesi a documentarmi, come un vero topo di biblioteca. Poi, dopo aver scritto una prima versione della storia, mi resi conto che mancava un personaggio degno di competere con il gerarca senza nome che percorre tutto il romanzo. E riscrissi tutto inserendo Bruno Arcieri, ma senza farmi troppe domande su di lui, sul suo passato, le sue idee, la sua anima. Mi ha raccontato tutto nei romanzi successivi. È nato e cresciuto proprio come un figlio, quasi a dispetto mio.

La tua bibliografia è molto vasta, vuoi parlarci dei tuoi romanzi storici e di come nascono le storie che racconti? Hai un luogo che funge da “musa” per i tuoi scritti? Com’è cambiato Leonardo Gori, scrittore, negli anni?

“Romanzo storico” è un’etichetta impegnativa. Nel mio caso, direi romanzo di tensione con un’ambientazione lontana nel tempo, in un’epoca radicalmente diversa dalla nostra, che permette di variare il registro narrativo. Questo non è il caso di Bruno Arcieri, perché anche gli anni Trenta sono vicini a noi e alla nostra sensibilità. Il mio primo tentativo di cambiare decisamente aria è un romanzo ambientato nel 1776, l’anno della rivoluzione americana: ma si svolge in Toscana, con il Granduca Pietro Leopoldo come protagonista e un suo “doppio” selvaggio. Si intitola “I delitti del Mondo Nuovo” e le sue varie edizioni sono targate tutte Hobby & Work, quindi reperibili solo sui circuiti alternativi. Tengo molto a questo romanzo, spero che prima o poi possa riapparire in TEA. Poi ho scritto un piccolo ciclo di romanzi con Niccolò Machiavelli e Leonardo Da Vinci, per Rizzoli e Giunti. Ricordo “Le ossa di Dio” e “La città d’oro”, ora in libreria in edizione economica. Tutti questi romanzi nascono effettivamente dalla frequentazione quotidiana di un luogo magico, che è la mia città, e che mi immagino secoli fa, più giovane e diversa, e così nascono le storie.

Io sono cambiato tantissimo, si cambia umanamente, anno dopo anno, al di là di quello che vorremmo. 

Quando termini la stesura di un romanzo, che sensazioni provi?

A costo di cadere nella fiera delle banalità: sollievo, per il lavoro fatto, e dispiacere, senso di vuoto, per dover lasciare i personaggi. Che però, il più delle volte, tornano nel lavoro successivo…

Ti è mai capitato di dare un titolo ad uno dei tuoi romanzi e successivamente, per esigenze editoriali, doverlo rivedere?

Quasi tutte le volte! Ma non solo per esigenze editoriali. Vorrei sempre un titolo con almeno un paio di diversi significati, quasi un gioco enigmistico, o delle scatole cinesi. Ma succede che a volte il romanzo cambia in corso d’opera, e diventa tutt’altro, rispetto a quello che si aveva in mente all’inizio. E quindi cambia per forza anche il titolo. Altre volte, è effettivamente l’editore a rifiutare un titolo, per vari motivi, che a volte posso anche condividere. Non dirò quali sono i casi in questione. Ci può essere una cordiale lotta, in questi frangenti, ma perdo sempre.

Hai dei progetti attualmente in cantiere per il futuro? Ce ne vuoi parlare?

Ho sempre un progetto in corso. Sono un po’ lento, anche per motivi di lavoro, e quando sono verso la fine di un romanzo, comincia a formarsi l’idea per quello successivo. Per ora, almeno, comanda Arcieri, sia nell’incarnazione “giovane” che in quella “anziana”. D’altra parte devo colmare i tanti anni che passano da “Il passaggio”, ambientato nel 1944 (in ristampa nel 2019) e “L’angelo del fango”, che si svolge nel 1966. Ma prima o poi farò fare una lunga pausa al capitano e poi colonnello, e mi immergerò in un’impresa acquatica ed esotica, qualcosa che comunque avrà ancora a che fare con Firenze.

Grazie per la tua disponibilità e per essere stato con noi!    
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