Trama:
Siamo all’inizio del Cinquecento e Giovanni Ciocchi, ai tempi in cui narra questa storia, è ancora molto lontano dal giorno del 1550 in cui verrà eletto papa e prenderà il nome di Giulio III. Ha poco più di quindici anni ed è in viaggio verso Venezia insieme all’inquisitore francescano Martino da Barga, suo mentore e maestro di vita. Magister e apprendista sono convocati nella Serenissima per partecipare al processo inquisitorio contro il pittore Hieronymus Bosch, accusato di eresia e blasfemia per aver dipinto un Cristo in croce con le fattezze femminili. Mentre Giovanni e Martino fanno la conoscenza dell’eccentrico pittore, della sua singolare visione del mondo e del suo stile di vita dissoluto, con l’intento di difenderlo dalla gravissima accusa che pende sul suo capo, nelle calli cominciano a verificarsi dei macabri delitti. Uno dopo l’altro vengono ritrovati sei cadaveri, su ognuno dei quali l’assassino si è divertito a lasciare segnali da decifrare: monete incastrate nei bulbi oculari, frutti e salsicce deposti accanto ai corpi, e soprattutto piume d’uccello, piume che spuntano dalle tasche, dai corsetti, dalle bocche delle vittime, come firme lasciate da un autore a margine delle proprie opere. Tutta la città conta sul fiuto del magister, noto anche come investigatore ed esperto di cause di morte, per interpretare le tracce seminate dall’omicida e fare luce sull’enigma.
Naturalmente, il principale indiziato è proprio il blasfemo e impopolare Hieronymus Bosch.
Recensione a cura di Roberto Orsi
Carlo Martigli affonda il colpo. E che colpo!
Questo suo nuovo lavoro vince e convince.
Siamo di fronte a un romanzo che tiene alta l’attenzione del lettore, incatenandolo alla trama incalzante del racconto inframezzata da momenti di riflessione ispirati dalle splendide chicche filosofiche del protagonista.
La storia ci viene raccontata da Papa Giulio III, all’epoca ancora Giovanni Cocchi, apprendista dell’inquisitore francescano, che dopo molti anni racconta le vicende come in un diario personale.
Il settimo peccato. Il sette è un numero ricorrente nella tradizione, soprattutto quella esoterica, in cui il sette è considerato il numero perfetto. Il sette è il numero della creazione, sette sono i pianeti, sette i sacramenti, sette i sigilli del libro dell’Apocalisse…e si potrebbe continuare per molte pagine ancora.
Sette, come i peccati capitali. Sette, come le lettere che formano il nome del nostro protagonista. E proprio prendendo spunto dalle sue iniziali mi piace presentarvi il libro:
Macabro: le atmosfere di una Venezia splendente, durante il Carnevale, si contrappongono ai barbari omicidi che si susseguono tra le calli. Le scene che i due protagonisti si trovano a fronteggiare sono raccapriccianti. Se da una parte c’è chi si diverte, tra sollazzi e serate goliardiche, dall’altra c’è chi muore per mano di un killer efferato.
“Il gusto per il macabro è insito nell’uomo, alcuni dicono sia una forma di scongiuro, altri perché il male fa parte dell’uomo stesso”.
“Strana città Venezia, che cominciavo a conoscere, ricca di tutto e del suo contrario, feste e orrori, lussuria e tetraggine”
Arguto: come Martino da Barga. Impossibile non farsi conquistare dall’inquisitore francescano. L’autore ammette di essersi ispirato a Umberto Eco e al suo capolavoro “Il nome della rosa”, nel delineare le caratteristiche principali dei protagonisti. E Martino discende direttamente da Guglielmo da Baskerville, non c’è ombra di dubbio. Inevitabile lasciarsi coinvolgere dalle sue riflessioni, così avanti rispetto all’epoca. Così belle nella loro profondità.
“perché per capire bene la giustizia, alla quale cerco di indirizzarti, occorre essere esenti da passioni. Infatti, la giustizia applicata senza assenza di passione corre sempre il rischio di non essere giusta”.
Razionale: come l’indagine a cui assistiamo. Martino si basa sui fatti, sulle evidenze lampanti, sui dettagli concreti che scaturiscono dalla sua indagine. Un tipo di inquisitore, che ritroviamo spesso nella letteratura di genere, contrapposti a quegli uomini di Chiesa guidati solo dal pregiudizio, il preconcetto nei confronti di coloro che sono “diversi” rispetto ai dogmi affermati. Ecco che quindi ci incantiamo nel leggere le massime filosofiche e la profondità dei pensieri del protagonista e non solo. Momenti di riflessione che l’autore lascia nei numerosi dialoghi tra i personaggi.
“Il gioco è l’unica cosa seria, il resto appartiene alla seriosità, quella gravità affettata che è madre, sorella e figlia dell’ipocrisia”.
Turbolento: oltre al processo contro il pittore Hieronymus Bosch per le sue opere considerate blasfeme, gli omicidi si susseguono ad un ritmo vertiginoso. Le piste dell’indagine si intrecciano, le vittime sono troppo vicine a coloro i quali sono coinvolti nel processo al pittore olandese.
Non c’è tempo da perdere per l’inquisitore Martino, che viene incaricato dal Doge Loredan in persona, di risolvere i casi di omicidio e affidare alla giustizia il colpevole. Ma l’indagine è complessa,
“Venezia è come la sua acqua, cristallina in superficie e limacciosa sul fondo”
“Dobbiamo imparare dall’acqua, puoi quasi vedere il fondo, quando è calma come in questi canali, ma quando la agiti tutto diventa confuso”
Istruttivo: come ogni buon romanzo storico che si rispetti. Imparare divertendosi. E in questo caso l’autore ci porta a spasso per la Venezia del ‘500 con una familiarità e una semplicità degna delle migliori guide turistiche di oggi.
“Vai per Venezia, osserva la gente e le sue abitudini, osserva come commercia, come parla e come si veste. Guarda anche come si comportano diversamente i poveri e i ricchi: da tutto questo trarrai più insegnamenti sulla legge che dai testi giuridici”
Novello: come Giovanni Cocchi, al suo primo incarico fuori casa, in assistenza a un inquisitore francescano già noto e affermato. Bellissimo sedersi al tavolo dell’osteria, gustando piatti veneziani con i due protagonisti e trarre insegnamenti dal magister come fa lo stesso apprendista quindicenne. Le sue prime esperienze, il primo batticuore, emozioni forti che lo percuotono e lo forgiano. Avvenimenti che ora, da Papa, ripercorre con la memoria, con quella dolcezza e tenerezza di un padre che racconta i progressi del figlio.
Oltraggioso: è come potrebbe sembrare in alcuni passaggi questo romanzo. Dalle parole di Martino da Barga a quelle di Papa Giulio III, nelle sue riflessioni “al presente”. Una frase del Magister rivolta all’apprendista, all’epoca della storia narrata, mi ha colpito molto:
“Ti confesso Giovanni, che se dovessimo prendere alla lettera gli insegnamenti biblici, troveremmo più omicidi commessi dal Signore che in tutti i secoli a venire”.
E se Giovanni Cocchi, ancora sprovveduto apprendista avido di insegnamenti dal suo Magister, inorridisce quasi all’udire certe parole, di tutt’altra pasta sembra fatto Papa Giulio III, anni dopo.
Una persona che ha vissuto tutto il percorso canonico all’interno della Chiesa e può quindi lasciare in queste memorie, confessioni e pensieri inimmaginabili per un uomo del suo rango. Interessante e degno di nota il percorso evolutivo tracciato dall’autore per questo personaggio, nella contrapposizione tra l’ingenuità giovanile e la saggezza dell’età adulta.
Un romanzo da leggere, e probabilmente da rileggere per poterne cogliere tutti gli aspetti e gli insegnamenti contenuti nelle parole del magister.
Sotto accusa c’è il pittore Hieronymus Bosch con il suo quadro considerato eretico, per aver raffigurato Gesù Cristo inchiodato alla croce, con fattezze femminili. Ma, senza paura di essere accusato di blasfemia, posso indubbiamente affermare che chi si troverà inchiodato al libro senza nemmeno accorgersene, sarai tu lettore.
Copertina rigida: 282 pagine
Editore: Mondadori (10 luglio 2018)
Collana: Omnibus
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8804701986
ISBN-13: 978-8804701989
Link d’acquisto: Il settimo peccato