A cura di Eliana Corrado
“Una signora chiede che cosa faccia un editore: scrive libri? No, risponde l’editore, quelli li scrivono gli autori. Allora li stampa? No, quello lo fa il tipografo. Li vende? No, lo fa il libraio. Li distribuisce alle librerie? No, quello lo fa il distributore. E allora che cosa fa? Risposta: tutto il resto.”
Chiunque abbia risposto così alla curiosa signora, che sia esso stato Arnoldo Mondadori o Valentino Bompiani (la battuta è divenuta oramai una leggenda attribuita di volta in volta ai vari maestri dell’editoria, come scrive giustamente Umberto Eco su la repubblica del 2001), ha risposto sagacemente e sarcasticamente in modo giusto per ciò che è attualmente l’editore.
Ma tale risposta sarebbe stata in grossa parte errata dalla nascita della stampa in poi, ovvero, da che, da Gutenberg in poi, fu sdoganata (prendendo con le dovute pinze il termine sdoganare) la cultura e l’accessibilità ai libri e quindi la loro diffusione. Perché all’epoca, la figura dell’editore non esisteva affatto, o se esisteva era tutto quello che la signora curiosa chiedeva al leggendario editore; eccezion fatta per essere colui che scrive i libri (ma anche per questo, poi, allora come oggi, si contempla qualche eccezione).
I primi editori, infatti, erano tipografi, che si occupavano di tutto il processo produttivo: dalla stampa alla commercializzazione delle opere; quindi erano tipografi, ma anche venditori, distributori e librai. E di ciò troviamo un magnifico esempio nel libro “Q” di Luther Blisset (il collettivo di scrittura e scrittori che oggi firma le opere come Wu Ming). In esso, infatti, leggiamo:
L’italiano si aggira [nella tipografia, n.d.r] ancora un po’ tra i tavoli e le mensole, afferrando un libro a ogni passo: – Questo no, questo no, questo… neanche. Questo! – Schiaffeggia la copertina col dorso della mano. – Mi date venti copie di questo e un centinaio di Vesalio.
Ma procediamo con ordine. La storia dell’editoria è indissolubilmente intrecciata, nella sua nascita e formazione, alla storia del libro.
Se ci poniamo la domanda: “quando è nata la figura dell’editore?”, l’unica risposta che, per convenzione, possiamo dare è quella per la quale potremmo far coincidere la nascita dell’editore con la prima opera a stampa: la Bibbia cosiddetta a 42 linee (perché stampata su due colonne di 42 righe, appunto) di Gutenberg, nel 1455.
Due anni dopo, nel 1457, compare però, il “Salterio” realizzato da Fust (ex socio di Gutenberg) in società con Schoffer . Perché è importante quest’opera? Perché è la prima opera che reca impressa la data e la sottoscrizione dei tipografi – indicazione, questa, che ancora oggi è obbligo di legge per gli editori apporre nei libri, a segnare uno dei primi piccolissimi cambiamenti che iniziano a registrarsi e che, pian piano, ci avvicinano all’editoria come la intendiamo oggi. Siamo, però, ancora molto lontani dall’editoria vera e propria: dal punto di vista formale (impaginazione, formato) i libri sono ancora simili ai manoscritti, non hanno nemmeno i titoli, e vengono identificati con gli incipit dei libri, e siamo ancora a una tiratura ridottissima, ovvero sull’ordine delle 4-5 copie al massimo.
Dobbiamo arrivare al ’500 per intravedere un ulteriore passo in avanti verso l’editoria così come la intendiamo noi oggi: è infatti in questo periodo che grandi stampatori come Manuzio a Venezia, Giunti (vi dice niente questo nome?) a Firenze, non sono più solo degli stampator/produttori di libri, ma iniziano a svolgere un’attività di selezione dei libri da pubblicare, opera che può essere paragonata a quella dei moderni editori. È sempre in quest’epoca, poi, che il libro cambia nel suo aspetto grafico (testo inquadrato nei margini, utilizzo del frontespizio, pagine bianche tra un capitolo e l’altro, e ancor più formati ridotti (maneggevoli e adatti al trasporto) e prezzi più accessibili; al via una nuova prassi messa in campo dalle biblioteche che iniziano ad acquistare presso terzi i libri-manoscritti svincolandosi, così, dal rapporto tipicamente medievale tra scriptorium e biblioteca (in virtù del quale erano ammessi a far parte del corpus bibliotecario solo ed esclusivamente i testi prodotti nello scriptorium annesso alla biblioteca stessa). In più, si registra una maggiore articolazione della rete distributiva che viene affidata a soggetti esterni alla tipografia e che denota quindi l’iniziale diversificarsi delle figure professionali che ruotano intorno al libro, oltre a un incremento degli scambi in tutta Europa soprattutto attraverso le fiere nelle grandi città: una fra tutte citiamo quella di Francoforte, tutt’ora in essere e tutt’ora destinata quasi unicamente allo scambio dei diritti per la pubblicazione delle opere; concetto, però, questo del diritto d’autore molto di là da venire. Dobbiamo, infatti, attendere il ’700 per iniziare a veder emergere la figura dell’autore che diventa sempre più protagonista delle vicende editoriali (complici, naturalmente, il diffondersi delle idee illuministiche) e quindi non più la pubblicazione solo ed esclusivamente di opere religiose e/o di classici latini e greci (come era stato fino a ora), ma opere “nuove” da immettere sul mercato, frutto di nuove voci che hanno qualcosa da dire e da comunicare. Ulteriore separazione, ancora, delle figure professionali non più concentrate su un solo soggetto ma distribuite su più persone. Ed è di questo secolo anche l’affermazione di nuove tecniche di vendita e regole commerciali che ci fanno capire quanto il mondo editoriale stia cambiando, come il sistema della «resa» libraria, introdotta nel 1788 da un gruppo di editori di Potsdam (Germania): buffo, vero, che tutto nasca sempre da questa nazione?
Seguiteci alla prossima puntata!!!