A cura di Sara Valentino
Oggi sono qui a Roccapelago, un paese a 1100 mt di altitudine in provincia di Modena. Seguitemi all’interno del suo castello o di ciò che ne rimane: solo alcune parti come le mura, il corpo di guardia e un cumulo di rovine nel punto più alto del mastio, è ciò che ne rimane.
Si tratta di una roccaforte naturale che si erge su uno sperone di roccia che domina la valle del Pelago.
Originariamente poteva essere un antico “castelliere preistorico” con grotte e caverne tutt’oggi inesplorate.
“Castrum Pelago” viene menzionato già in un documento del 753 d.c..
Per ciò che ci è giunto si sa che il castello è appartenuto dal XII secolo in poi fino al 1400 ai Gualandelli, ai Montegarullo e ai Lucchesi.
Nel 1586 nel perimetro del castello fu costruita la nuova chiesa di Roccapelago. Durante i lavori di ristrutturazione della chiesa, nel 2010, vengono alla luce 218 corpi di adulti, anziani, infanti e addirittura settimini, 60 dei quali mummificati.
Si tratta dunque di un grande mistero perché, diversamente dal solito dove vengono mummificati uomini potenti o illustri o ancora monaci, in questo caso si tratta di un’intera comunità.
Si tratterebbe di persone vissute tra il XVI e il XVIII secolo, insomma ci addentreremo in quello che è, a tutti gli effetti, un vero e proprio cimitero sotterraneo, si tratta di una fossa comune, i corpi sono stati ritrovati impilati a formare una piramide.
La conservazione sembra dovuta, non a volere umano ma, al particolare microclima della cripta, scarsa umidità e intensa aerazione; vi sono state ritrovate anche mummie appartenenti a topi.
La maggior parte dei corpi presenta ancora parte di tessuti biologici, abbigliamento o sudari in cui furono avvolti.
Dalle analisi effettuate e dai suppellettili ritrovati accanto alle mummie si pensa che le stesse siano appartenute a persone semplici, dedite a lavori pesanti, con una vita non facile e un’alimentazione poco curata dal punto di vista nutrizionale.
Alcuni corpi li troviamo deposti sulla nuda roccia nella cripta, come da ritrovamento originario, mentre il corpo di una giovane donna e stato ricomposto con il corpicino di tre infanti sul grembo.
L’unicità del museo di Roccapelago è proprio quella di non esporre le mummie in teche come fossero puri reperti.
In base agli oggetti ritrovati e ai resti dei capi di vestiario si può supporre che si trattasse di una comunità dedita alla filatura, alla cucitura e al ricamo, insomma non esclusivamente agricolo-pastorale.
L’emozione che si prova nel girare tra le sale del museo è quella di trovarsi al cospetto con uomini del passato, e pur nel rispetto della morte rimane un’aura di mistero e commozione.
Gli insetti ritrovati sulle mummie hanno permesso agli archeoentomologi di svelare i misteri di questa comunità sulle loro condizioni fisiche, igieniche e sui rituali funebri dell’epoca.
Le monete, poche, ritrovate nella tomba rivelano l’antica credenza secondo cui il defunto doveva pagarsi il viaggio nell’oltretomba, il cosiddetto “obolo di Caronte”.
Ora lasciamo questo luogo, lasciamo riposare la comunità di Roccapelago… al prossimi mistero!