“Bella, intelligente, ricca, con una casa fatta per viverci bene e un’indole felice…”.L’incipit di “Emma” ci catapulta immediatamente e radicalmente nel reale seppur emblematico mondo della protagonista, descrivendo in meno di un rigo tutto quello che rappresenta la giovane Emma Woodhouse. Una fanciulla che incarna il vivere bene, il piacere, la gioia di una condizione che conducono in quegli anni le famiglie appartenenti alla cosiddetta “gentry“, ovvero le famiglie di campagna la cui esistenza è fondata sulla proprietà terriera, che non hanno necessità di lavorare perché vivono grazie alle rendite delle loro proprietà; è agli uomini che spetta il compito di gestire i loro beni, una vera e propria occupazione a tempo pieno, mentre le donne, immerse in un placido ozio, vivono al centro di un universo fatto solo di casa e famiglia. E’ così che conosciamo Emma Woodhouse, apparentemente uno “stereotipo” della fanciulla dei primi dell’ottocento, una fanciulla allegra, affascinante, sicura di sé, indolente e orgogliosa; eppure… eppure a molti lettori, anche grandi appassionati di Jane Austen, Emma non piace. Potremmo osare dire che Emma è l’anti-eroina della Austen, se consideriamo Elisabeth Bennet, le sorelle Dashwood o Anne Elliot come le sue principali eroine. Emma è ricca, innanzitutto, e non ha pretese economiche. Anche per questo, a differenza delle altre ragazze del suo tempo/ceto/mondo non ha alcuna fretta di sposarsi. Potremmo classificarla quasi come una zitella (ha ventun’anni quando la conosciamo nel romanzo, una gran bella età, la stessa età in cui Jane Austen considerava se stessa una zitellona senza più pretese di accasamento). Emma ama la vita, ama divertirsi e non aspira per niente a un matrimonio romantico. E’ la padrona della propria casa nel senso più specifico del termine, in quanto il padre, Mr. Woodhouse, un simpatico vecchietto ipocondriaco, alla fine, in un modo o nell’altro finisce per fare sempre quello che piace alla figlia. L’unica cosa che accomuna Emma con tutti gli altri personaggi dell’autrice sono le attività che svolge durante la giornata che, del resto, viste le abitudini del periodo, non potevano che esser quelle. Passeggiate, thè, ricevimenti, noiose visite d’obbligo e aiuto alle famiglie in difficoltà, ritenuto un obbligo sociale del proprio ceto. Jane Austen pone spesso al centro dei propri romanzi la vita quotidiana delle donne, con gli usi e i costumi del tempo, ma nel periodo di passaggio da una società maschilista a una che tende a valorizzare anche il ruolo della donna anche se caratterizzato da un rigida distinzione delle classi sociali. In Emma quest’ultimo punto è molto forte, tanto da fare da sfondo a quasi tutte le aargomentazioni della ragazza, per quanto candide e incolpevoli possano essere. Ma sarà la stessa fanciulla a rivalutare e biasimare i propri ragionamenti quando si renderà conto di aver ingenuamente offeso chi non è nella sua stessa condizione e ne verrà duramente rimproverata da Mr. Knightley per la cui opinione ha un sincero rispetto. D’altronde la fanciulla di fine settecento/primi ottocento si trova in condizioni ben diverse da quelle dell’uomo che può avere accesso all’istruzione universitaria, con tutti i rapporti sociali che vi gravitano attorno, e ai circoli letterari che tendono ad aprire la mentalità dei giovani. Non si può certo, quindi, fare una colpa alla giovane Emma che tende a isolare la propria condizione sociale evitando di mischiarla a quella di personalità più umili della sua, e a evitare matrimoni misti affinché le sue conoscenze non debbano essere private, nella loro nuova casa e condizione, della visita di una cara e stimata amica quale ella è. Ma è proprio il miscuglio di questo ingenuo orgoglio sociale e di una fervida fantasia atta a cercar di combinare matrimoni per le fanciulle del proprio entourage, fuorchè del proprio – dato che lei non ha nessuna voglia né necessità di accasarsi (e in questo magari cogliamo il rimpianto della giovane Jane che in quel periodo si rammaricava certamente del fatto di non avere un reddito che le evitasse di dipendere dagli altri) che la porterà a ingarbugliarsi nella rete da lei stessa intrecciata. Sebbene non pretenda di avere buonsenso, possiede però parecchia fantasia e autostima che la inducono a sentirsi una maestra nel decifrare i segnali che possono rivelarle il cuore degli uomini, traendo, dai madornali errori di valutazione che compie, un ben misero insegnamento, ma giungendo comunque, seppur nella sua vanità, a non colpevolizzare altri che se stessa per i propri errori. Il più grande abbaglio riguarderà infine proprio il proprio cuore, che sente per nulla incline alla passione ma che le rivelerà, all’improvviso e, proprio in seguito a uno dei più grandi errori di valutazione (quello nei confronti della sua cara amica Miss Harriet, della quale non comprende il sentimento, riducendo il suo desiderio di matrimonio con Mr. Martin ad un vero e proprio contratto i cui pro e contro vanno valutati dal punto di vista economico e sociale) quanto i suoi pessimi giudizi abbiano coinvolto dolorosamente – sebbene con un lieto fine – anche chi ha di più caro e che la renderà consapevole di quanto le sue romantiche divagazione siano ben lungi da un sentimento vero, sincero e devoto, rivelandole definitivamente come tutti calcoli del mondo crollino di fronte a un sentimento autentico. Del resto anche i personaggi maschili di Jane Austen racchiudono tutti un ideale che nei secoli ha indotto fanciulle romantiche e ingenue ad “alzare l’asticella” delle pretese sul proprio uomo esemplare. Uomini dal cuore nobile e devoto, sentimentalmente legati al punto da sacrificarsi al silenzio, personaggi dalle risorse morali e dall’indole pervasa di saggezza e buon senso, che effondono sull’amata un atteggiamento protettivo e rassicurante. Non per niente in “Emma” troviamo anche una sorta di simbolismo nell’utilizzo dei nomi che, apparenteamente per caso, la scrittrice ha voluto utilizzare nella stesura del romanzo: ad esempio Mr. Knightley, l’eroe di Emma, col suo cognome “cavalleresco” incarna assolutamente ciò che il suo nome simboleggia, ed abita a Donwell (ben fatto) che indica la sua propensione ad agire nel giusto. E, a mio avviso, il cognome stesso di Emma (Woodhouse) crea un’aspettativa come di attesa che la sua abitazione possa trasformarsi in qualcosa di più “saldo” e definitivo. Infine come non notare il cognome dell’amica Herriet Smith, come a volerne sottolineare l’origine “comune” che non può farla aspirare a una condizione superiore a quella in cui si trova. Emma rimane comunque il personaggio preferito della Austen. Forse perchè incarna, in fondo, l’ideale di fanciulla autonoma, sicura di sé, ingenua ma non troppo e poco incline al romanticismo che avrebbe voluto essere Jane. O ogni fanciulla del suo tempo.
A cura di Paola Marchese