La disgrazia della domus Curzia – Gianluca Stisi
Trama
Tutto ha inizio una sera, durante una cena nella villa dei nobili Valeri. Un messaggero inatteso porta una convocazione per il Pretore Quinto Valerio Probo, membro del Senato e Magistrato civile alle dipendenze dell’Optimus Princeps Marco Ulpio Traiano. Il protagonista verrà convinto ad indagare su un caso dall’apparenza semplice: un furto di gioielli avvenuto ai danni del vizioso Senatore Gaio Curzio Lusore e di sua moglie, Claudia Pulcra, splendida e “terribile” nipote del Cesare Traiano. L’indagine si trasformerà invece in un’ardua sfida per il tenace investigatore e il suo giovane assistente, Eliodoro di Corinto. Misteriosi omicidi e sottili intrighi all’ombra di alcuni potenti personaggi della curia capitolina, dei quali si occuperà perfino il temuto Prefetto del Pretorio, Tiberio Claudio Liviano. Una corsa contro il tempo volta a soddisfare una semplice richiesta da parte dell’Imperatore: una conclusione rapida dell’inchiesta, che dovrà terminare necessariamente prima della nomina del nuovo governatore della ricca provincia romana di Lusitania.
Recensione a cura di Maria Marques
Gianluca Stisi è al suo primo romanzo e con abilità si misura con un thriller storico, ambientato nella Roma antica. Senza nulla svelare della trama, posso dire che il tempo diventa padrone di questo libro: sette giorni per risolvere un delitto , una indagine nata da un banalissimo furto di gioielli. Questo è il tempo concesso al protagonista da un illustre personaggio, nientedimeno che l’imperatore Traiano.
Nelle pagine del romanzo, ricostruita dall’autore, prende vita la città di Roma, all’apogeo del suo splendore. Immaginiamo una città caotica, cosmopolita, dove accanto ad abitazioni lussuose, terme, basiliche , ci sono dimore meno luminose dove le persone sono costrette a vivere, sperando in un futuro migliore. Una “metropoli” dove nessuno fa nulla senza avere in cambio qualcosa ,dove la corruzione regna sovrana a tutti i livelli tanto da sembrare “… del tutto allergica alle regole dell’etica e della morale”.
Il protagonista, Quinto Valerio Probo, è un pretore, cioè un magistrato preposto principalmente alla amministrazione della giustizia e, durante la sua investigazione, dovrà affrontare numerose insidie destreggiandosi abilmente sia in mezzo alle alte sfere sia negli strati più umili della popolazione. Egli è un giovane patrizio, proveniente da una delle famiglie più antiche della nobiltà, caduta in disgrazia, da poco riabilitata e, forse proprio per questa travagliata storia famigliare , ha sviluppato notevoli capacità di riflessione, di osservazione non solo delle persone ma anche della società che lo circonda, che riesce a vedere senza specchi deformanti, dimostrando non solo sagacia, ma anche “pietas” nei confronti di un personaggio che ha ben poco da apprezzare i romani
Quinto è un giovane che crede fermamente nella verità, che difende il proprio punto di vista “Io credo che la nostra vita abbia un senso solo se vissuta in piena responsabilità. A me non interessa che cosa facciano o dicano i miei colleghi, persino i miei superiori, mi interessa ciò che penso io…” e lo afferma con una caparbietà che sfiora un individualismo un poco forse anacronistico, e con una punta di arroganza che ci si aspetta da un nobile romano. Se poi consideriamo che egli è anche tiranneggiato, dolcemente tiranneggiato, da una madre autorevole, affettuosa e molto colta, desiderosa che prenda moglie, il personaggio che ne risulta è simpatico ed al punto giusto ironico con se stesso.
Come ogni investigatore che si rispetti, ha un aiutante, una sorta di Watson ante litteram, un liberto con cui ha instaurato un rapporto fraterno che lo coadiuva abilmente quasi come un moderno medico legale e ne raccoglie i pensieri, le riflessioni aiutandolo ad elaborare la traccia che porterà alla soluzione del delitto.
Il suo antagonista, Tiberio Claudio Liviano, prefetto del pretorio, non è poi così sgradevole come all’inizio la penna dell’autore sembra farci intendere, sebbene rappresenti il braccio armato dell’imperatore. Due uomini, uno riflessivo e l’altro un soldato, con un unico scopo: perseguire la giustizia.
La prosa di Gianluca Stisi è fluida, gradevole e permette al lettore di immergersi tranquillamente in un romanzo che evidenzia usi e costumi della società dell’epoca, ma che può essere anche lo specchio dei giorni nostri, perché nonostante i secoli, la corruzione politica, il clientelismo, l’avidità e la malvagità degli uomini non sembrano poi molto diversi. Ci sono innumerevoli spunti di ricerca per chi è un curioso od un appassionato di storia romana; chi invece preferisse lasciarsi attrarre dall’aspetto investigativo vero e proprio, troverà una trama interessante , ricca di colpi di scena, numerosi possibili assassini, insomma un rompicapo per il povero pretore.
E’ auspicabile che questo sia il primo di una serie di romanzi che avranno come protagonista Quinto, che permettano di conoscere meglio l’uomo dietro il pretore ,di vedere l’evolversi della sua carriera e perché no, anche di quella del suo antagonista Tiberio ed all’autore di ricreare la società romana con la stessa dovizia di particolari senza appesantirne la trama, come è riuscito in questo. Tutti noi che leggiamo ed amiamo i thriller in fondo vogliamo assecondare quel desiderio innato di giustizia, rettitudine che, fortunatamente, vive anche nell’animo del giovane pretore ed è ben espresso dalle parole che gli fa pronunciare Gianluca Stisi: ”Noi mortali siamo solamente costretti ad accettare ciò che la Fortuna e gli Dei hanno in serbo per noi, cercando di vivere la nostra vita con la maggiore rettitudine possibile”.
Copertina flessibile: 470 pagine
Editore: Independently published (25 luglio 2017)
Collana: Indagini ai tempi di Roma
Lingua: Italiano
ISBN-10: 1521904251
ISBN-13: 978-1521904251
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