a cura di Manuela Moschin
Francesco Hayez “Il Bacio” (1859) Olio su tela, 112×88 cm. Pinacoteca di Brera Milano. Titolo originale era “Il Bacio. Episodio della giovinezza. Costumi del secolo XIV”.
Racconta l’autore Vincenzo Cortese:
“Hai studiato storia dell’arte?” Aggiunse Valentina volendo soddisfare una legittima curiosità.“Magari semplice passione” le rispose il pompiere portando le braccia dietro la schiena. …“Magari qualche sabato mattina, se ti va, potremmo fare un salto insieme alla Pinacoteca o al Castello” insistette lui con l’entusiasta di chi tentava spudoratamente di modellare quel ferro prima che perdesse la sua incandescenza.
È singolare e curiosa l’ideazione del romanzo storico “Brusacristi – L’eredità del Lupo”, poiché si tratta di un omaggio dell’autore al gruppo di Facebook e Blog “Thriller Storici e Dintorni”. Cortese ha dedicato ad alcuni membri del gruppo un personaggio, una specie di Avatar letterario presente con il proprio nome. Il racconto, ambientato nel XIII secolo, possiede una narrazione originale perché affronta un tema poco trattato nell’ambito della cultura letteraria, ovverosia “l’eresia catara”. È particolare, inoltre, lo stile narrativo del romanzo, in quanto l’autore fa percorrere al lettore dei salti temporali, intervallando i capitoli dedicati al medioevo a quelli del periodo storico attuale; egli racconta l’esperienza della semiologa Valentina Colombo che conduce alcune ricerche, in merito a delle scoperte compiute intorno alla bibbia catara di Guillaume de Lavaur. Nei primi capitoli, la studiosa viene attratta dal vigile del fuoco Nicolò che, appassionato di storia dell’arte, affascinerà Valentina proponendole di visitare alcuni luoghi appartenenti al patrimonio artistico, tra i quali la Pinacoteca di Milano (fig. n. 2), una galleria nazionale d’arte antica e moderna collocata nel Palazzo di Brera sorta nel periodo Napoleonico. Ho scelto di parlarvi del “Bacio” di Hayez (fig. n.1), in quanto, è considerata l’opera più significativa conservata nella Galleria come viene così riportata nel suo catalogo “E’ una delle immagini simbolo della Pinacoteca e probabilmente di tutta la pittura italiana del XIX secolo, entrata a far parte delle collezioni nel 1866 grazie al legato di Alfonso Maria Visconti che l’aveva commissionata”.Francesco Hayez (1791-1882) (fig. n. 3) fu uno degli artisti più rappresentativi della pittura di storia che, assieme al romanzo storico, divenne un mezzo per raffigurare simbolicamente il patriottismo degli italiani. Il tema della patria e il desiderio di conquista dell’unità nazionale trovò la sua espressione nei capolavori dell’artista, caposcuola del Romanticismo storico italiano.
Il patriota, politico e filosofo Giuseppe Mazzini (Genova, 1805 – Pisa, 1872) scrisse di Hayez “E’ il capo della scuola di Pittura Storica che il pensiero Nazionale reclamava in Italia”.
La raffigurazione di episodi del passato nazionale, risalenti al medioevo, fu per Hayez una metafora per interpretare gli ideali patriottici del suo tempo. Si noti, infatti, che nell’opera “Il Bacio” i due giovani non indossano i costumi dell’epoca romantica, bensì si riferiscono al periodo medievale. Hayez dipinse il capolavoro nel 1859 mentre si combatteva la seconda guerra d’indipendenza italiana. Si tratta di un’opera molto ammirata e paradigmatica che, apparentemente, potrebbe essere interpretata come una scena romantica ma che in realtà lo fu solo in parte. Esistono quattro versioni dello stesso dipinto ognuna delle quali presenta delle piccole differenze stilistiche. L’opera presente nella Pinacoteca di Brera è la più celebre e fu commissionata da Alfonso Maria Visconti di Saliceto. Il significato del dipinto si cela nella scena, l’abbraccio appassionato dei due amanti ai piedi di una scalinata simboleggia la costruzione della giovane nazione italiana uscita dalle lotte risorgimentali. Hayez, con quest’opera, rappresenta allegoricamente l’alleanza tra l’Italia e la Francia nelle guerre di indipendenza. Il dipinto è ambientato all’interno di un castello medievale, sullo sfondo vi è una parete in mattoni e nella parte sinistra del quadro si trova un arco gotico dove, se si osserva attentamente, si può intravedere un’ombra di una figura (fig. n. 4), talvolta interpretata come la presenza di un nemico del cospiratore che sta spiando di nascosto. I due innamorati si scambiano un bacio appassionato e furtivo, la giovane è completamente abbandonata nell’abbraccio, trattiene il suo amato come a volerlo far rimanere, il piede del giovane poggiante su uno scalino prelude a un immediato distacco. Il ragazzo ammantato, indossa un berretto piumato e possiede un pugnale probabilmente alludente alla ribellione contro l’invasore. La preziosa veste di seta della ragazza è evidenziata dai riflessi lucenti provenienti da una fonte esterna del dipinto che la rendono alquanto realistica. Le tonalità calde del quadro derivano dalla predilezione dell’artista per la scuola rinascimentale veneta di Giorgione e Tiziano. La scena è fortemente teatrale e trasmette all’osservatore un’intensa emozione.
È interessante sapere che Hayez dettò la sua autobiografia “Le Mie Memorie” (fig. n.5) alla Contessa Giuseppina Negroni Prati Morosini. A tal fine Raffaello Barbiera (1851-1934) uno scrittore e giornalista, redattore del Corriere della Sera, scrisse:
“La contessa Giuseppina lo eccitava a scrivere le sue memorie; ma l’autore del Bacio, aveva, si sa, più facile il pennello che la penna. Un bel giorno, l’amica sua si risolse a scriverle lei quelle ricordanze d’arte e di vita, facendosele dettare a poco a poco dal pittore. E così fu: il vecchissimo artista dalla immacolata canizie, seduto su un seggiolone parlava e la contessa scriveva”
Hayez nacque a Venezia dove compì la sua prima formazione, in seguito visse a Roma dove nel 1809 vinse il Premio Roma. Successivamente si stabilì a Milano dove ottenne numerosi incarichi diventando nel 1850 titolare dell’Accademia di Brera ottenendo la cattedra di pittura. È nell’Accademia, infatti, che sono conservati una grande quantità di disegni che testimoniano il suo costante studio e la sua prolificità. Uno degli esempi più noti è il disegno a matita su carta realizzato nel 1822 “Aiace d’Oileo” conservato nel Castello Sforzesco a Milano.
È curioso sapere che: Federico Seneca, direttore artistico di una nota industria dolciaria, negli anni venti si ispirò al quadro di Hayez per realizzare la famosa scatola blu di cioccolatini con l’immagine di due innamorati.
“Afrodite Cnidia” Copia romana da un originale marmoreo di Prassitele del 360 a.C. circa. Musei Vaticani, Città del Vaticano.
Racconta ancora l’autore:
– “Marco d’Agrate, l’artista che nel 1562 aveva portato a termine la scultura, con quell’epigrafe si rivolgeva all’osservatore nell’intenzione di non indurlo a confondere la propria arte con quella dell’ateniese Prassitele, tra i più celebri e valenti scultori della Grecia Antica”.
L’autore Cortese nel romanzo cita Prassitele (inizio IV secolo – 326 a.C), uno scultore ateniese che ebbe una fama vastissima in tutto il mondo greco, egli fu il primo a realizzare sculture, oltre che in bronzo, anche sul marmo. È noto come l’artista della “Charis” ossia della grazia unita alla bellezza. La sua opera più conosciuta si riferisce alla dea “Afrodite Cnidia” (fig. n. 6) chiamata così perché fu acquistata dagli abitanti di Cnido. È la prima scultura marmorea ad essere rappresentata nuda, la dea è stata ritratta prima del bagno rituale o subito dopo. Purtroppo l’originale della statua è andato perduto, ciò che possiamo attualmente ammirare è una copia romana del I-II secolo d.C. Pare che Prassitele per creare la scultura ebbe come modella Frine una bellissima etera. Lo scrittore latino Plinio il Vecchio (Como 23 d. C. – Stabia 79) riferisce che inizialmente la statua fu prodotta per gli abitanti di Coo ma che questi rifiutandola ne chiesero una vestita. La statua provocò uno scandalo e fu soggetta a numerose controversie a causa del corpo nudo e la forma sinuosa e sensuale a forma di “S”. A quel tempo tale conformazione, assieme alla mano destra che copre le parti intime, evidenziava gli attributi della femminilità pertanto non era accettata. L’arte di Prassitele, quindi, si distingue per il suo delicato realismo e per l’invenzione di un canone di bellezza femminile che non è più mascolinizzata come in passato. Secondo le fonti, sempre derivanti da Plinio, sembrerebbe che addirittura, un giovane nobile fu talmente attratto dalla dea marmorea che se ne innamorò.
Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis historia” scrisse: “La Venere di Prassitele primeggia non solo tra tutte le sue statue, ma tra quelle di tutto il mondo: molti sono andati per nave a Cnido semplicemente per ammirarla”.