Il lungo regno della regina Vittoria ha caratterizzato un’epoca, sebbene non sia sempre facile trovare elementi univoci nella sua definizione. Certamente le profonde trasformazioni economiche e sociali del Regno Unito, e le loro rappresentazioni letterarie, hanno prodotto uno dei periodi di maggiore interesse della storia europea, coincidente con l’idea stessa di progresso e con uno straordinario sviluppo tecnologico.
L’età che prende il nome dal lungo regno della regina Vittoria incoronata alla morte dello zio, il re Guglielmo IV, nel 1837, vede il primo manifestarsi, o la definitiva affermazione, di gran parte degli elementi che costituiscono la modernità occidentale, e dunque le radici della contemporaneità, sotto i più diversi aspetti: sul piano economico, politico e sociale, oltre che sul piano culturale, sia per quanto riguarda aspetti fondamentali della cultura alta, sia, e forse soprattutto, per quanto coinvolge la cultura popolare nelle sue varie espressioni.
Un’epoca, quella vittoriana, di straordinari progressi senza precedenti e tali da mutare il modo di percepire se stessi. Ma anche un’epoca di altrettanto profonda crisi, talvolta non espressa ma sempre presente, perfino nei più entusiastici e celebrativi testi che la letteratura coeva ha prodotto, poiché è costante la difficoltà nell’esprimere, nel trovare forme e parole nuove per rappresentare ciò che si svolge davanti ai propri occhi, in assenza delle quali si ricorre a metafore classiche o a citazioni latine.
Per oltre mezzo secolo, a partire dal Congresso di Vienna del 1815, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, e le sue colonie, sono al centro del sistema internazionale. Non si tratta semplicemente di una superiorità militare: questa, pur rilevante, dopo la fine delle guerre napoleoniche e fino all’ultimo decennio del XIX secolo, ha un ruolo quanto meno secondario nel garantire la centralità ed egemonia che i Britannici esercitano nelle relazioni internazionali. La costruzione dei pilastri politici e della posizione dominante che il Regno Unito assume attorno alla metà del XIX secolo è resa possibile dalla rivoluzione industriale, il fondamentale contesto che permea ogni aspetto dell’epoca e senza il quale non solo quella posizione di potere non vi sarebbe stata, ma lo stesso regno della regina Vittoria non assumerebbe il particolare significato e interesse che noi gli attribuiamo. Il profondo e radicale processo di trasformazione sociale ed economica, iniziato nella seconda metà del Settecento, arriva alla sua definitiva affermazione istituzionale proprio nei primi anni di regno di Vittoria. I presupposti del suo consolidamento sono: le leggi che consentono di disporre di una manodopera a basso costo, con la distruzione del mondo contadino tradizionale e il rapido processo di inurbamento; l’intervento economico statale e il sostegno allo sviluppo tecnologico e industriale negli anni delle guerre con la Francia (1792-1815); le leggi e i regolamenti per il controllo e per la repressione militare di ogni forma di dissenso sociale. È soprattutto il controllo sulla massa di lavoratori impiegati nelle industrie e miniere del paese che desta preoccupazione e porterà a numerosi episodi di violenta repressione anche nei confronti di rivendicazioni moderate (come avviene per il massacro di Peterloo, nel 1819, a Manchester). Lo straordinario processo di sviluppo industriale, che accelera la crescita generale della ricchezza del Paese, ha infatti i suoi lati oscuri. Le drammatiche condizioni di vita e lavoro nei grandi centri industriali, Manchester innanzitutto, la “ciminiera del mondo”, lasciano sbigottiti tutti gli osservatori e viaggiatori dell’epoca: i più favorevoli alle trasformazioni in corso condanneranno le carenze sanitarie e igieniche o di istruzione dei poveri, separando la loro condizione dalle responsabilità del processo industriale; altri come Charles Dickens, Thomas Carlyle, Benjamin Disraeli, non avranno dubbi nell’individuare il nesso tra industria e condizioni di vita dei lavoratoriQuesto aspetto fa da sfondo all’età vittoriana, quasi a sporcare con la onnipresente fuliggine, di cui tutti i testimoni dell’epoca fanno menzione parlando delle città industriali, la lucentezza delle sue realizzazioni e conquiste. Alexis de Tocqueville (1835) metterà in risalto con efficacia le contraddizioni della società industriale vittoriana, parlando di Birmingham: “[…] qui lo schiavo, là il padrone. Là le ricchezze di pochi, qui la miseria di una maggioranza. Da questo fetido scolo fluisce la più grande corrente di industria umana a fertilizzare il mondo intero. Da questa lurida fogna fluisce oro puro. Qui l’umanità raggiunge il suo sviluppo più completo e più bestiale; qui la civiltà opera i suoi miracoli, e l’uomo civilizzato torna ad essere nuovamente un selvaggio”.