Tra abiti e bellezza nel Medioevo (quarta puntata – il Popolo)
A cura di Ilaria Savino
Dopo aver affrontato il Clero e la Nobiltà, oggi andremo a scoprire qualcosa di più sul popolo comune, il cosiddetto Terzo Stato.
Al Terzo Stato apparteneva la popolazione laica non nobile.
Era il ceto più numeroso e sosteneva per intero l’onere delle tasse. Il popolo era formato da diverse categorie di persone.
Al suo interno era molto stratificato: si andava dall’Alta Borghesia (ricchi banchieri, grandi mercanti, proprietari di terre di miniere e di manifatture), alla Media Borghesia ( professionisti come medici ,giudici, notai, avvocati, ingegneri e mercanti locali), fino ad arrivare agli Artigiani come fabbri e falegnami, agli operai ai minatori, ai contadini, ai lavoratori senza mestiere specifico.
La Borghesia (“burgensis” abitante del borgo), era un gruppo sociale che doveva le sue fortune alle attività economiche e allo svolgimento di professioni come l’avvocatura e la medicina. Una caratteristica della borghesia era la tendenza a nobilitarsi; ricchi e potenti banchieri e imprenditori aspiravano ad ottenere titoli nobiliari.
I Contadini costituivano un gruppo sociale molto numeroso, visto che l’economia del tempo era esclusivamente agricola. Vi erano:
Contadini Servi: coltivavano la proprietà terriera del nobile ed erano fissati alla loro condizione ereditariamente, non potevano abbandonare le terre nobiliari che lavoravano e non potevano possedere beni materiali, non potevano esercitare alcun’altra attività lavorativa.
Contadini Personalmente Liberi: erano proprietari di una parte del territorio agricolo circostante il villaggio. Non avevano la piena proprietà della terra coltivata, in quanto dovevano corrispondere al nobile locale tributi ordinati o straordinari in caso di vendita o successione, oppure dovevano lavorare gratuitamente per un certo numero di giorni le terre del feudatario, in occasione dell’aratura, della semina e del raccolto, oppure per la costruzione e la manutenzione delle strade e delle opere in muratura del feudo. Altri contadini liberi coltivavano le terre ecclesiastiche prese in affitto o sotto contatto di mezzadria; diversamente dai contadini servi, i contadini liberi avevano la possibilità di svolgere altri mestieri quali tessitura e filatura della materia prima fornita loro da mercanti che compravano poi i prodotti finiti per rivenderli.
La donna appartenente alla classe contadina, fu in genere responsabile della gestione domestica in cui era instancabile organizzatrice, occupandosi sovente dell’am
ministrazione dei beni propri, del marito e dei figli. Un aspetto di fondamentale importanza era quello della produzione di beni di autoconsumo: fanno parte di questa categoria, ad esempio, la cura dell’orto, dei frutteti e dei pollai dai quali si ricavavano notevoli quantità di carne, uova e verdure che andavano ad integrare una dieta a base prevalentemente di cereali, grano, ceci, fave, ortaggi, vino e olio. Inoltre reggevano una parte del sistema economico trasformando prodotti e producendo beni: filavano e tessevano per la famiglia, cucivano abiti e biancheria, producevano formaggi e pane.
All’esterno potevano essere impiegate nel confezionamento di ricami delle vesti, fabbricavano pettini, saponi, profumi e belletti o potevano servire nelle case dei nobili come ancelle, concubine o nutrici. In alcuni casi esercitavano autonomamente mestieri essenzialmente maschili: fornaio, calzolaio, coltivatrici di vigne, allevatrici di animali da cortile.
Quindi, essenzialmente la contadina era impegnata nei lavori meno pesanti, ma contribuiva alla vita produttiva aiutando il marito. Sia a causa delle condizioni economiche, sia per comodità, indossa abiti che le permettevano le mansioni della vita di tutti i giorni: scarpe, nessun tipo di calze, una tunica in canapa stretta in vita da un grembiule, e per raccogliere i capelli, una cuffia. Una ,mantellina con cappuccio in lana la proteggeva durante le ore più rigide della giornata lavorativa.
Abbiamo, inoltre, un’altra figura che esisteva anche all’epoca: la Meretrice.
L’esercizio della prostituzione nel medioevo veniva spesso tollerato nonostante le posizioni contrarie da parte della Chiesa. I luoghi deputati a tale attività venivano comunque delineati con specifiche leggi e statuti. La regolamentazione (possiamo prendere come esempio l’epoca sveva di Federico II) di alcuni comuni italiani prevedeva un vero e proprio sfruttamento al fine di poter incamerare introiti dovuti alla tassazione sul mercimonio del corpo.
Nell’Italia Meridionale Federico II stabiliva che le meretrici dovessero distinguersi chiaramente dalle donne “oneste” indossando un corto mantello sfrangiato e abiti a righe (rimandi alle attività di tipo demoniaco), calzavano delle scarpe con un paio di zoccoli, indossavano inoltre le calze e una camicia e un velo giallo con una fascetta copriva loro il capo.
Federico II impose che dovessero praticare la prostituzione fuori dalle mura della città. Altre imposizioni furono introdotte nelle Costituzioni di Melfi, specialmente per la frequentazione delle meretrici dei bagni pubblici, a quanto pare luoghi deputati al ritrovo delle donne e dei loro protettori, specificando che potessero accedervi solo di mercoledì. La punizione per chi controvertiva era la fustigazione. Frequente era anche la presenza nelle locande in cui le meretrici accoglievano gli avventori offrendo del vino.
Fu introdotta anche la tutela dalle violenze per cui c’era la pena capitale. La meretrice però aveva solo otto giorni di tempo per dimostrare di essere stata violentata e in caso di scadenza del termine, decadeva ogni accusa.