Trama:
È un giorno di sole quando Armin chiama suo fratello Wulf, per mostrargli un prodigio: la costruzione della “strada che non si ferma mai”. Una meraviglia che li lascia senza fiato, il miracolo tecnico dei nemici romani, capaci di creare dal nulla una strada che attraversa foreste, fiumi, paludi e non devia nemmeno davanti alle montagne.
Improvvisamente i due sentono dei rumori: è una pattuglia romana. Armin e Wulf sono catturati dai soldati. Nel loro destino però non c’è la morte, né la schiavitù.
Perché Armin e Wulf sono figli di re. Sigmer, il loro padre, è un guerriero terribile e fiero, principe germanico rispettato e amato dalla sua tribù. La sua sola debolezza era l’amicizia segreta con Druso, il grande nemico, il generale romano precocemente scomparso, che Sigmer, di nascosto, ha imparato a conoscere e ad ammirare. Ma di questa ammirazione nulla sanno i due giovani. Devono abbandonare la terra natale e il padre, per essere condotti a Roma. Sono principi, per quanto barbari. Saranno educati secondo i costumi dell’Impero, fino a diventare comandanti degli ausiliari germanici delle legioni di Augusto.
Sotto gli occhi dell’inflessibile centurione Tauro, mezzosangue germano convertito all’amore e alla fedeltà verso Roma, impareranno una nuova lingua, adotteranno nuove abitudini, un modo diverso di pensare.
E come possono Armin e Wolf, cresciuti nei boschi, non farsi incantare dai prodigi di Roma? Non solo la strada, ma anche gli acquedotti, i templi, i palazzi meravigliosi. I due ragazzi diverranno Arminius e Flavus, il biondo, cittadini romani, due giovani guerrieri, stimati da tutta Roma, capaci di conquistarsi la fiducia dello stesso princeps Augusto.
Ma il richiamo del sangue è davvero spento in loro? La fedeltà agli avi può portare alla decisione di tradire la terra che li ha adottati a favore di quella che li ha generati?
Recensione a cura di Giovanna Barbieri
Un romanzo storico come forse non se ne scrivono più: corale e completo. Manfredi inizia a narrare l’adolescenza di Armin (Arminius) e Wulf (Flavus), due principi Cherusci catturati dai Romani e costretti a vivere e a essere educati a Roma (previo accordo con Sigmer, a capo dei Cherusci). In un primo momento i due ragazzi si lasciano affascinare dagli usi latini: dalle terme, dai palazzi, dalla politica romana, dal cibo esotico e dalle belle matrone, ma con il tempo Arminius comincerà a sentire di più la nostalgia di casa, dei boschi selvaggi e dei prati erbosi. Inoltre da giovane, alla festa della Primavera, s’innamora di una nobile germanica, Thusnelda, che il padre di lei non vuole concedergli in sposa.
La parte più coinvolgente per me è la centrale, con la battaglia di Teutoburgo. Qui spiccano le motivazioni di Armin che decide di combattere per la sua gente e di tradire i romani, liberando la terra dal controllo romano, e quelle romane (di Varo e dell’Imperatore Augusto) desiderosi di espandere il limes, assimilare le tribù germaniche, utilizzando i feroci guerrieri nelle legioni, e costruire in tutta la Germania tante piccole Roma (con ponti, strade, palazzi, terme, monumenti, leggi ecc), così da evitare una possibile invasione/distruzione di Roma per mano dei popoli germanici. Mi è piaciuto molto, ma la parte iniziale con i due fratelli adolescenti, educati a Roma da Marco Celio detto Tauro, centurione romano che combatterà contro Armin a Teutoburgo poteva essere abbreviata, così come la parte finale, dopo la battaglia del 9 DC, anche se è molto toccante.
Nel romanzo compaiono anche le figure di Tiberio, magister romano, soldato e ufficiale appartenente alla gente Claudia, designato a conquistare il territorio germanico fino al Reno e Imperatore alla morte di Augusto e dei nipoti appartenenti alla gente Giulia. Velleio Patercolo, storico romano; Germanico Giulio Cesare, generale romano che i due giovani barbari conoscono a Roma e imparano ad apprezzare.
Versione digitale: 719 pagine Editore: Mondadori (9 settembre 2016) Collana: Omnibus Lingua: Italiano ASIN: B01JNPM8H0 Link d’acquisto: Teutoburgo