Trama
Trama
Ultima settimana del novembre 1327. Il novizio Adso da Melk accompagna in un’abbazia dell’alta Italia frate Guglielmo da Baskerville, incaricato di una sottile e imprecisa missione diplomatica. Ex inquisitore, amico di Guglielmo di Occam e di Marsilio da Padova, frate Guglielmo si trova a dover dipanare una serie di misteriosi delitti (sette in sette giorni, perpetrati nel chiuso della cinta abbaziale) che insanguinano una biblioteca labirintica e inaccessibile. Per risolvere il caso, Guglielmo dovrà decifrare indizi di ogni genere, dal comportamento dei santi a quello degli eretici, dalle scritture negromantiche al linguaggio delle erbe, da manoscritti in lingue ignote alle mosse diplomatiche degli uomini di potere. La soluzione arriverà, forse troppo tardi, in termini di giorni, forse troppo presto, in termini di secoli.
Recensione a cura di Roberto Orsi
Mi sono posto il dubbio per diversi giorni se pubblicare o meno questa mia recensione per un libro così complesso. Una pietra miliare della letteratura Italiana, della letteratura di genere. Un libro che tanti hanno provato a capire e a carpire; tanti hanno provato ad addentrarsi nei significati più profondi del testo, dai riferimenti filosofici a quelli esoterici.
Ebbene, nonostante gli innumerevoli pareri, le recensioni e le teorie avanzate da vari studiosi di letteratura e storia, ancora esistono diverse interpretazioni dei significati più reconditi di questo capolavoro di U.Eco.
Lo stesso autore nelle postille al romanzo si dilunga molto su diversi aspetti del suo manoscritto, comprese alcune indicazioni sullo stile di scrittura adottato in fase di stesura, nonché sulla scelta del titolo.
Il primo grande enigma racchiuso in questo libro è proprio nel titolo: perché l’autore ha scelto “Il nome della rosa”? A cosa si riferiva? Le interpretazioni sono state tantissime, legate alla frase che chiude il libro “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”. Ed è proprio Umberto Eco in un’intervista pubblica a rispondere quanto segue:
“Sono dell’idea che molto spesso il libro è più intelligente del suo autore. Il lettore può trovare riferimenti cui l’autore non aveva pensato. Non credo di aver diritto di impedire di trarre certe conclusioni. Ma ho il diritto di ostacolare che se ne traggano altre.
Coloro che ad esempio nella “rosa” hanno trovato un riferimento allo shakespeariano “a rose by any other name”, sbagliano. La mia citazione significa che le cose non esistono più e rimangono solo le parole.
Il libro porta il lettore in una dimensione parallela. L’autore lo catapulta nel 1300 in Nord Italia, in un’abbazia dalle atmosfere cupe, a vivere al ritmo cadenzato dell’ordine Benedettino, dove le morti misteriose sembrano portare il segno dell’Anticristo. Fino a che punto sono disposti a spingersi i monaci dell’Abbazia per nascondere un segreto?
Essi erano dominati dalla biblioteca, dalle sue promesse e dai suoi interdetti. Vivevano con essa, per essa e forse contro di essa, sperando colpevolmente di violarne un giorno tutti i segreti. Perché non avrebbero dovuto rischiare la morte per soddisfare una curiosità della loro mente, o uccidere per impedire che qualcuno si appropriasse di un loro segreto geloso?
Guglielmo, per quell’epoca, può essere considerato un “visionario”. Non si ferma alle credenze popolari medievali, non segue il filone dell’eresia a cui tanto tengono gli inquisitori del tempo (addirittura rinnega il suo tempo da inquisitore), osserva i fatti, ne trae indizi e genera conclusioni. Un primordiale Sherlock Holmes? Adso da Melk, suo fedele garzone, assume il ruolo di uno Watson in erba? In alcuni passaggi sì, mi ha ricordato le avventure scritte da Conan Doyle.
“Il nome della Rosa” è un grande giallo medievale, le morti si susseguono nei sette giorni in cui si dipana il racconto. La motivazione principale risiede nel contenuto di un libro proibito, contenuto nella Biblioteca dell’Abbazia. I sospetti ricadono su diversi membri dell’Abbazia, ognuno con un proprio possibile movente.
Sullo sfondo delle vicende dell’Abbazia, la diatriba tra Impero e Papato del XIV Secolo, i fraticelli dell’Ordine Francescano, l’ordine Benedettino, la disputa teologica sulla povertà di Cristo e dei suoi discepoli con le teorie di Fra Dolcino e la repressione da parte della Chiesa attraverso il Tribunale dell’Inquisizione.
Sono molti anche i riferimenti a citazioni latine e ad altri libri. Come affermato dall’autore stesso, “Il nome della rosa” è un libro che è fatto di libri. Guglielmo e il fido Adso si muovono nella biblioteca proibita “tra libri che parlano di altri libri”, nel labirinto abilmente disegnato dai monaci fondatori, nel quale a distanza di anni è stata accumulata la stragrande maggioranza dello scibile dell’epoca.
Rileggo le righe già scritte e mi chiedo “cosa si può aggiungere ancora su questo libro?”. La risposta è “tutto e niente”. Perché si potrebbe scrivere per un giorno intero, ma allo stesso tempo credo sia un libro che debba parlare da solo. Un libro che parla da solo per la sua storia, per quanto ha suscitato in questi anni nei lettori, per il successo internazionale che ha avuto. Non sarei nemmeno in grado di sviscerare tutte le possibili interpretazioni di questo testo, ma trovo che non sia nemmeno il mio “ruolo”. Io sono qui per rispondere alla domanda: “consiglieresti questo libro ad un altro lettore?“
Beh, non sarà certo Roberto Orsi a dovervi convincere di leggere un testo del genere. Per chi ama il genere Giallo/Thriller storico, questo libro non può mancare nella propria biblioteca. È un pilastro. E pensare che U. Eco lo considerava il “suo peggior libro”… a questo punto mi chiedo come saranno gli altri. Non posso di certo far passare altri 35 anni per scoprirlo…
Editore: Bompiani (14 febbraio 2018)
Lingua: Italiano
Pag: 624 pagine
ISBN-10: 8845296830
ISBN-13: 978-8845296833
Link di acquisto cartaceo: Il nome della rosa
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Complimenti Roberto bellissima recensione, sapendo poi quanto sia stato difficile farla per un libro così importante